Yasmine ha resistito per tre giorni nel gelido mare d’inverno prima di essere salvata con i suoi 11 anni e un carico di disperazione e paura che molti adulti, dopo una vita lunga, per loro fortuna non conosceranno mai. Solo una bambina e già una sopravvissuta come il piccolo di 8 anni tra i sette migranti salvati e condotti a Lampedusa dopo l’ultimo naufragio (noto) del 2024 nel Mediterraneo. A Gaza la piccolissima Sila non ce l’ha fatta a sopravvivere alle bombe, agli stenti, al freddo. È morta di ipotermia. Già di per sé dovrebbe essere intollerabile ma invece siamo oltre. Davvero possiamo concederci di credere che a uccidere la piccola sia stato solo il freddo?

Così è finito il 2024. Cosa lasciamo dietro di noi nell’anno appena passato è in realtà cosa troveremo intorno noi nel 2025. Un’amara affermazione, più che una domanda che ha in sé già una risposta, se spingiamo lo sguardo ai mesi, agli anni e ai decenni addietro. Cosa ci sarà avanti a noi? Dipende da quella speranza operosa alla quale ci invita da oltre duemila anni Aristotele.

Una tragedia inarrestabile è in atto ma sembra non riguardarci, non toccarci. L’indifferenza, complice dell’assuefazione, è forse il detrattore più irriducibile di ogni pace e di ogni civiltà come il servizio reso in mare e in guerra, da chi opera per salvare e soccorrere, è invece la forza ostinata che tiene acceso un barlume di umanità in questo mondo alla deriva.

Roccella nel 2024 e Cutro nel 2023

Sono stati 26 (su 56 dispersi dei 67 migranti) i bambini di cui non si è più avuta alcuna notizia a seguito del naufragio silente, invisibile, nascosto, negato, e ogni altro aggettivo utile a descrivere quanto le istituzioni si “siano impegnate” per rendere inaccessibile ogni informazione utile a capire e a raccontare, consumatosi tra il 16 e il 17 giugno 2024 a Roccella Ionica, nel reggino. Due bambini soltanto tra gli 11 superstiti. Ce ne erano stati 35 tra le 94 vittime del naufragio a Steccato di Cutro, nel crotonese, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio dell’anno prima.

Portopalo nel 1996 e Lampedusa nel 2013

La notte tra Natale e Santo Stefano del 1996 al largo di Portopalo di Capo Passero, in provincia di Siracusa, una vecchia e sovraccarica nave di legno affondava, causando la morte di almeno 283 migranti. Fino al 2013, la più grande tragedia navale del Mediterraneo dalla fine della seconda guerra mondiale. Poi è arrivato il 3 ottobre 2013. Un altro tragico naufragio al largo di Lampedusa in cui morirono 368 migranti.

E dopo cosa è cambiato? Nulla. Steccato di Cutro e Roccella Jonica sono accaduti oltre dieci anni dopo, come i naufragi al largo di Lampedusa che hanno tragicamente suggellato il 2024.

Una tragedia senza fine che sembra non scuoterci, non sconvolgerci a sufficienza. L’incapacità di preservare chi, prima di ogni altro, avrebbe diritto ad essere protetto va stigmatizzata non per innescare facili e sterili commozioni ma per denunciare che il segno è stato passato da tempo e che la deriva di umanità, che tanto nel Mediterraneo quanto nelle aree in guerra si manifesta in tutto il suo stadio avanzato, dovrebbe interrogarci senza tregua. EppureContinua a leggere su IlReggino.it.