La passione per la musica ha portato il 33enne, originario di Soverato, a viaggiare e ad esibirsi in prestigiosi contesti. Non manca un’amara riflessione: «Il Sud non è una terra fertile per i cantanti lirici. La cultura non ti riempie il portafogli»
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Antonino Giacobbe, 33 anni, nato a Soverato. Laurea magistrale in lingue per la cooperazione internazionale e laurea in canto lirico. Felice e soddisfatto, nel pieno di un successo straordinario che lo sta portando in giro per il mondo. Ha vissuto per 19 anni a Borgia, poi 7 anni a Cosenza, 4 a Catania, e negli ultimi anni a Milano. La lirica è la sua passione. Una carriera brillante. Ovunque grandi successi. Ora è tornato per qualche settimana nella sua amata Calabria. «Sono molto soddisfatto. Penso che ogni essere umano si possa descrivere anche attraverso le priorità che intenda perseguire, di me se ne sa di certo una, lo studio della voce è di certo tra le passioni più grandi della mia vita… dopo la pizza (ride)». Un caffè insieme a Cosenza dove lo attendono alcuni impegni, una chiacchierata sulla musica, che magari salverà il mondo. Come la bellezza. «Se tutti ascoltassero la stessa musica sì, penso che tutto il mondo dovrebbe ascoltare ed appassionarsi al fatto che De Andrè abbia prestato la propria penna alla divina Mina, ad un Mogol che aggiunge i versi sugli accordi di una chitarra suonata da un giovanissimo Lucio Battisti».
A 33 anni è pieno di vita, tanta voglia di conquistare nuovi successi. Ma è importante capire come e quando Antonino ha scoperto di avere una splendida voce da baritono.
«Attraverso la costante ricerca del colore della voce che viene dalla naturalezza dell’espressione, della parola cantata. La voce é un qualcosa di così spontaneo, noi tutti l’abbiamo fatta udire ai curiosi, appena fuori dal pancione di mamma, ed i suoni li erano tutti assolutamente giusti e timbrati. Diversi fattori emotivi, chissà perché, incatenano la nostra essenza, la nostra vera voce».
Deve essere stato non facile.
«Il mio sforzo quotidiano si è focalizzato sul riportare la mia voce nella propria “Comfort zone”, che può sembrare apparentemente semplice, peccato non si finisca mai di studiarla e di scoprire nuovi assetti vocali e posizioni da adottare».
Immagino che un ragazzino non cominci cantando Verdi…
«Il mio primo pezzo è stato “Margherita” di Riccardo Cocciante, l’introduzione di questo brano riesce a ravvivare in pochi secondi ricordi ormai sbiaditi ma di forte emozione».
Ma un ragazzo perché sceglie la musica classica, la lirica? A quell’età tutto sembra spingere verso il rock, la trap.
«Mi stai provocando, vero? Vuoi che faccia scoppiare una guerra tra stili musicali? La musica, se di qualità, è tutta meravigliosa ma credo che quella classica racconti benissimo già solo con un giro armonico (senza testo, per intenderci) il sentimento che si vuol mettere in scena. Ascoltate il finale de “La Bohème” o di un qualsiasi Verdi, poi mettete un po’ di Trap e capirete quello che voglio dire».
Tanti i sogni che Antonino ha realizzato. Ma chissà qual è la più bella opera in cui è stato protagonista? Lui non ha dubbi.
«Sicuramente Figaro nel “Barbiere di Siviglia” e Marcello ne “La Bohème”, personaggi così diversi, ma entrambi fanno parte della mia personalità. In me convive la capacità di cavarmela davanti ad ogni situazione e di aiutare chi ha bisogno, come il Factotum di Rossini e la ricerca della dolcezza e della semplicità del Marcello di Puccini».
Facciamo un giro in macchina. A Cosenza è già notte. Cerchiamo buona musica da ascoltare. E stavolta ci divertiamo con i grandi della musica leggera. Perché oltre la lirica, il baritono Giacobbe ha tanti interpreti che ama.
«Nasco con Battisti, Cocciante, Celentano, Battiato, Rino Gaetano, Mina, Ranieri, Baglioni, De Andrè… Continuo?».
E la lirica?
«Solamente dopo, grazie ad una pubblicità in Tv, ho provato ad emettere un urlo imitando Andrea Bocelli ed ho capito che non era poi così male».
Tanti gli impegni che attendono Antonino Giacobbe.
«Sarò impegnato subito a Bari, proprio in questi giorni. Poi da giugno a settembre mi attendono in Portogallo per più repliche di Barbiere di Siviglia come Figaro, in ottobre sarò Marcello a Chieti e poi da novembre partirà un tour meraviglioso di Traviata, nei panni di Germont».
Ma nell’immediato Giacobbe sarà con il pianista Mattia Salemme alla Dimora storica di Cosenza, esattamente nel pomeriggio di venerdì 12 aprile. Qualche pezzo durante la presentazione di un libro di Massimo Cerulo. Finito il giro notturno in macchina, ascoltata tanta bella musica, ci lasciamo con due chiacchiere. Stavolta i temi sono molto diversi. Del resto viviamo tempi difficili.
«Il futuro sarà di certo migliore per me e per tutti noi, lo meritiamo per tutto ciò che abbiamo trascorso negli ultimi anni e per quanti disastri ancora avvengono quotidianamente nel mondo. Spero che l’uomo capisca che la terra è la sua grande casa, ma che intorno ci sta un universo miliardi di volte più grande che ci sovrasta, il cui disegno è molto più profondo di ciò che pensiamo».
Dobbiamo trovare una via d’uscita dalle tragedie del presente. E Antonino alza i livelli.
«Vorrei consigliare di credere nella bellezza e di perseguirla in ogni suo ambito, anche nelle cose più piccole ed apparentemente insignificanti».
Con la cultura non si mangia (cit.). Peggio ancora con la grande musica. Al Sud le cose vanno anche peggio. E questo Antonino l’ha capito benissimo.
«Il Sud non è una terra fertile per noi cantanti lirici, nonostante qualche realtà riesca ancora a proporre spettacoli di rilievo. La cultura non ti riempie il portafogli, anzi, nella maggior parte dei casi te lo svuota (ride)».
In tanti pensano che un musicista, come uno scrittore, un interprete, non faccia alcuna fatica. E non lo paga.
«Questa è una nota dolente, dissonante, stonata. Ci vuole rispetto per l’essere umano che impiega il proprio tempo a perfezionare la propria arte. Un cantante lirico sa che la buona performance dona la consapevolezza che la propria carriera molto probabilmente continuerà. Ed è tutto live, con un pubblico super esigente. Non tutti sanno che si prova per un mese, ogni giorno per 8-10 ore. E tutto si gioca sui nervi e sulla potenza della propria psicologia. La voce è come una bella donna, va curata, coccolata, desiderata. Oltre alla necessità di un grande sforzo mentale e di un’attenta coordinazione corporea».