VIDEO E FOTOGALLERY | Canti, cori e colori nel corteo che ieri ha sfilato per le vie della città dello Stretto, ma soprattutto una giornata di lotta e rivendicazione. Maesi (Arcigay): «Portiamo qui la nostra rabbia creativa ma anche il nostro desiderio di giustizia sociale»
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Arriva al calar del sole al Waterfront. Un’onda di giovani ma anche famiglie, arrivati a Reggio Calabria da tutta la regione e anche da Messina. Un corteo ricco di canti, cori e colori quello del Pride in riva allo Stretto, ma anche di sorrisi e allegria. Almeno oggi. Perché c’è ancora tanto da fare: c’è chi si non dichiara, chi si nasconde, chi non sente riconosciuto il diritto di essere chi è.
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«Oggi sentiamo tutta la comunità»
«Giornate come queste ci rincuorano. Reggio a volte sembra avere una mentalità ristretta, invece oggi qui sentiamo tutta la comunità. Quindi forse anche a Reggio si può vivere, si può restare», dice una giovane che avanza con il corteo.
«Anche noi valiamo e ci meritiamo tutto questo. Siamo qui semplicemente per essere noi stesse, in questo clima meraviglioso», dice un'altra.
«Credo che sia necessario essere qui e lottare per i diritti di tutti. Spero che un giorno il pride non sia anche un giorno di protesta ma solo di festa per tutti», dice un altro partecipante al corteo.
E ancora: «Siamo qui anche per ricordare coloro che a causa delle azioni e delle offese omofobe non ci sono più».
In piazza il desiderio di giustizia sociale
In testa al corteo i promotori e le istituzioni. «Le nostre sono manifestazioni di lotta e di rivendicazione. Portiamo in piazza la nostra rabbia creativa ma anche il nostro desiderio di giustizia sociale. Vogliamo superare tutte le disuguaglianze e tutte le discriminazioni che le persone Lgbtq+ subiscono quotidianamente. Questa è anche la giornata della visibilità e dell’orgoglio alla quale hanno partecipato tanti giovani per rivendicare evidentemente un Italia diversa e migliore».
«Da qui, dal Sud arriva la richiesta più forte di diritti. Fare associazionismo e attivismo Lgbt in queste zone di frontiera significa davvero produrre il cambiamento dal basso e chiedere più diritti e più tutele per tutte le persone. Attraversiamo un momento buio in cui si tende a classificarci come cittadini di serie B. A fronte degli stessi doveri non abbiamo gli stessi diritti. Siamo qui per dire che tutto ciò è ingiusto e deve cambiare. Per resistere e per ribellarci a chi prova a imporre questo stato di cose. Siamo qui, insieme, per affermare che continueremo a lottare per una società più libera e giusta». È quanto ha dichiarato Natascia Maesi, la prima donna eletta presidente di Arcigay.
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