La Doc continuerà ad esistere: ecco le differenze. Il Cirò Classico sarà solo a denominazione di origine controllata e garantita, con soli tre vitigni utilizzabili e un'invecchiamento di almeno tre anni
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Una data storica per l'area vitivinicola del Cirò, la più consistente in Calabria per quantità di uve e di vini prodotti, nonché di cantine attive, ma anche un'occasione unica sia per fare il punto sull'intero comparto, sia per prefigurare cammini strategici di cambiamento. La sera del 16 novembre, a Cirò Marina, si è tenuta la solenne seduta di “Pubblico Accertamento” per il riconoscimento della “Docg Cirò Classico”. Un adempimento imprescindibile, previsto dalla normativa vigente, coordinato dai rappresentanti del Ministero dell'Agricoltura, dall'apposito Comitato nazionale, dall'assessore regionale Gianluca Gallo, presente il presidente del Consorzio di tutela Vini Doc Cirò e Melissa, Raffaele Librandi. Tanti gli interventi, diverse le questioni trattate: il tutto si è concluso con un generale applauso di condivisione del percorso tracciato. Ora la procedura prevede una fase ministeriale, che terminerà con un decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, e poi una Europea per la definitiva approvazione. Si può ipotizzare che il lungo iter vedrà la definitiva consacrazione entro il 2024.
Prima di addentrarci nei particolari di questo forte segnale di dinamica evoluzione che immette la Calabria, così come le principali regioni vitivinicole d'Italia hanno già fatto da tempo, su un sentiero irrinunciabile volto al perseguimento della massima qualità possibile, nonché alla più attenta riconoscibilità del territorio, della sua identità storica e culturale, delle sue peculiarità in termini ambientali e di biodiversità, necessitano alcune brevi precisazioni. Ecco, innanzi tutto, qualche elemento utile a far comprendere perché abbiamo parlato di momento solenne. L'Uiv ci dice che nel 2022 l'Italia ha prodotto poco oltre 50 milioni di ettolitri di vino, di cui quasi 23 Dop (la sommatoria delle vecchie denominazioni Doc e Docg), pari al 45,2% del totale. Il resto è fatto da vini cosiddetti da tavola (poco oltre 14 milioni) e Igp (la vecchia Igt) per 13 milioni, e cioè il 26,1%. Mentre il Piemonte, nobile culla di Barolo, Barbaresco, Barbera..., è attestato su 2,3 milioni di ettolitri di vini Dop, corrispondenti ad oltre l'84% di tutto il vino prodotto in agro sabaudo (2,77 milioni di ettolitri), la Calabria, nello stesso 2022, ha generato appena 50mila ettolitri di Dop su un totale di 117mila, di cui 53mila circa dedicati all'Igp. Il citato Piemonte, che con i suoi 2,77 milioni di ettolitri produce quasi 24 volte il vino che nasce in Calabria, targa Igp appena 32mila ettolitri. Analogo ragionamento, con dati diversi, vale per il Trentino, il Veneto, il Friuli. Quante Docg vanta già da diversi lustri il Piemonte? Ascoltate l'elenco, peraltro non completo, che vi immergerà in un'atmosfera paradisiaca per gli amanti del nettare di Bacco: Alta Langa, Asti, Barbaresco (da uve Nebbiolo), Barbera d'Asti (da omonime uve), Barbera del Monferrato Superiore, Barolo (da uve Nebbiolo), Brachetto d'Acqui, Dogliani, Dolcetto di Diano d'Alba, Gattinara, Gavi, Roero, ecc. Non è un caso, quindi, che relativamente all'annata 2021, chiarisce sempre Uiv (Corriere Vinicolo, fonte Ismea/Qualivita), il Piemonte abbia imbottigliato oltre 2 milioni di ettolitri di vini Dop, il Friuli 1,74 milioni, la Toscana 1,42 milioni, l'Abruzzo 939mila, il Trentino 926mila, la Sicilia 845mila, e la Calabria poco meno di 32mila. Attenzione, però. Questi confronti tra giganti del vino e regione vitivinicola di nicchia qual è la Calabria vengono proposti solo per capire in che quadro dimensionale e progettuale ci si muove. Ma questi stessi numeri servono anche a spiegare perché la tappa della Docg Cirò Classico è un traguardo di rilievo, nonché per far metabolizzare appieno un concetto: l'autostrada dell'autentica qualità eccelsa è forse l'unica percorribile proprio per un territorio, l'antica Enotria e Magna Grecia, ricco di storia come pochi, ma piccolo tra giganti. Se non sei un colosso cerchi di distinguerti, nel mondo, perché produci gioielli non imitabili e rari.
L'Italia che si contende ogni anno con la Francia il primato della produzione di vino, vanta oltre 400 Dop, la Calabria 9 (Bivongi, Cirò, Greco di Bianco, Lamezia, Melissa, S. Anna di Isola Capo Rizzuto, Savuto, Scavigna, Terre di Cosenza). La parte del leone la fa la Dop Cirò. Le Docg nazionali sono circa 80 e prima del percorso avviato dal Cirò la Calabria non ne contemplava neanche una. Le precedenti normative comunitarie (ci si accontenti di pochi flash) riconoscevano, in una piramide qualitativa, Docg (Denominazione d'origine controllata e garantita), Doc (Denominazione di origine controllata), Igt (Indicazione geografica tipica). Fuori da queste denominazioni solo i cosiddetti vini da tavola. In seguito, uniformando il sistema agroalimentare concepito per la protezione delle denominazioni di origine, l'Ue ha creato due soli grandi “contenitori”, Dop e Igp, che valgono sia per il cibo (formaggi, salumi, olio, ecc.), sia per il vino. Relativamente al vino, le Dop contemplano, al proprio interno, Docg e Doc. I vini Docg, che rappresentano la punta di diamante dell'eccellenza vitivinicola italiana (in Francia sono denominati Aoc, oggi Aop), sono solo quelli di particolare pregio, frutto di una mirabile sintesi fra caratteristiche territoriali e naturali, fattori storico-identitari, incidenza dell'apporto umano figlio di culture ultrasecolari. Il disciplinare di produzione delle Docg è ancora più restrittivo e rigido rispetto a quello delle Doc: è ulteriormente garantito da tanti passaggi e controlli severi e certificati.
Veniamo ora alle principali differenze che si avranno fra la Doc Cirò, che continuerà a esistere, e la Docg Cirò Classico. In primo luogo l'attribuzione di “Classico”: la Doc la riconosceva ai soli vini prodotti nei comuni di Cirò e Cirò Marina, mentre il Cirò rosso Doc (anche superiore e riserva), così come il bianco e il rosato, estende il proprio raggio d'azione anche a porzioni dei territori di Melissa e di Crucoli. Se l'Ue varerà la “riforma” su descritta, ci troveremo di fronte a un Cirò Doc (rosso, rosato, bianco, con questi territori di riferimento: Cirò, Cirò Marina, parte di Melissa e Crucoli), e ad un Cirò Classico Docg (solo interi comuni di Cirò e Cirò Marina). I più curiosi si chiederanno: che cosa significano gli appellativi di “superiore” e “riserva”, che rimarranno validi per la Doc? “Riserva” vuol dire che il Cirò Doc rosso deve avere un invecchiamento non inferiore ai due anni, mentre il Cirò Doc non riserva può essere immesso al consumo dopo il primo giugno dell'anno successivo all'annata di produzione delle uve. La qualifica di “superiore” attiene invece al titolo alcolometrico volumico minimo naturale: 12% per il Cirò rosso Doc, 13,5% per il Cirò rosso Doc superiore. Si comprenderà che un Cirò rosso Doc può avere contestualmente entrambi gli appellativi: superiore e riserva. Con la Docg il Cirò Classico rosso sarà soltanto a Denominazione di origine controllata e garantita.
Andiamo oltre e scopriamo le altre sostanziali differenze che distingueranno la Doc Cirò dalla Docg Cirò Classico, soffermandoci solo sul rosso. La base ampelografica della Docg, cioè le varietà di uve a bacca nera autorizzate per la vinificazione, prevede soltanto il mitico Gaglioppo (almeno per il 90%), e poi Magliocco e Greco Nero per il restante 10%. Sul Magliocco si è aperta una discussione in quanto ne esistono due tipi, il Dolce e il Canino, entrambi coltivati nel territorio calabrese. Ci sarà da decidere. Non mi soffermo volutamente sulla materia complessa e articolata dei vitigni autoctoni coltivati nell'antico Bruzio perché occorrerebbe troppo tempo. La Doc Cirò rosso, invece, prevede Gaglioppo per almeno l'80%, e un 20% massimo di altre varietà iscritte nel Registro nazionale di viti per uve da vino, limitando a non oltre il 10% i cosiddetti “internazionali” (Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Sangiovese, Merlot, Barbera). Per la Docg le uniche forme di allevamento previste sono l'alberello (si legga il mio recente corposo saggio intitolato “Dai Sissizi di Re Italo alla Dieta Mediterranea”), e la spalliera a cordone speronato. La resa massima del vigneto per la Docg è di 8 tonnellate per ettaro, mentre è di 11,5 nella Doc. È notorio che meno grappoli si raccolgono dalle viti e più gli stessi sono potenzialmente utili per la produzione di vini eccelsi. Il titolo alcolometrico volumico naturale minimo della Docg Cirò Classico rosso dovrà essere del 13% in volume, contro i 12 del Cirò Doc. Il Cirò Classico Docg rosso dovrà avere almeno tre anni di invecchiamento (con 2 anni, come abbiamo già visto, nella Doc Cirò si parla di rosso riserva), di cui almeno 6 mesi in botti di legno. Per la Docg Cirò Classico l'unica forma di commercializzazione possibile è quella in bottiglie di vetro con tappo di sughero.
Per ora fermiamoci qui. Concludiamo con il senso politico, nell'accezione più ampia del termine, di questo passaggio di rilevanza storica che, se ben gestito esaltando tutti i momenti cruciali della filiera, può innescare processi di sviluppo molto significativi. Ho constatato personalmente entusiasmo da parte di tanti viticoltori e vinificatori, tranne qualche marginale dissapore riconducibile nell'ambito di una dialettica complessiva che deve essere limata. L'assessore regionale Gianluca Gallo si è detto soddisfatto e ha legato questo risultato a una più generale azione di incentivazione della vitivinicoltura regionale. Gallo ha rimarcato, inoltre, di fronte a una platea veramente folta, che alla Docg è stato espresso un “sì” corale e unitario, senza dissensi. E nella Calabria dell'atavico pernicioso individualismo un risultato del genere non è da sottovalutare. Da segnalare, in un territorio che conta in millenni la propria vocazione vitivinicola, la presenza di nuove generazioni assieme a genitori e nonni: un altro segnale decisivo per il presente e il futuro. Sul fronte della comunicazione integrata, tassello finale ma insostituibile della filiera, i lettori conoscono già le mie opinioni: puntare su meritocrazia, competenza, autorevolezza, profondità e autenticità del racconto, evitando ogni forma possibile di improvvisazione o di approccio episodico. Il preziosissimo acrolito di Apollo Aleo ritrovato nell'area archeologica di Punta Alice è simbolo di una comunità antichissima, quella cirotana, che venerava il dio protettore dell'intelletto, delle arti mediche, delle scienze e della profezia oracolare. Radici della vite e radici della storia!