Quando il Napoli giocava al San Paolo, Stefano Ceci partiva nella notte in treno da Catanzaro. Arrivato allo stadio, scavalcava le recinzioni e si godeva la partita. In Calabria la sua famiglia gestiva una pizzeria: erano arrivati da porta San Gennaro, cerniera tra il centro storico e il quartiere Sanità.

Catanzarese d’adozione, Ceci voleva essere il migliore amico di Diego Armando Maradona. O forse voleva essere Maradona. Di certo con il Pibe de Oro ha condiviso droghe, calcio, notti brave e anche l’operazione di riduzione dello stomaco. «Abbiamo parlato tantissimo, scherzato, vissuto», ha raccontato dopo la morte del Diez.

Il nome di Ceci si riaffaccia ciclicamente nelle storie che ruotano attorno a Maradona: inevitabile, visto che i due hanno vissuto fianco a fianco per 15 anni. Anche a Dubai, dove il catanzarese d’adozione si è trasferito da anni: da lì gestisce due marchi legati all’immagine di uno dei calciatori più iconici della storia.

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Tra affetto e affari, la galassia Maradona muove ancora oggi almeno 100 milioni di euro all’anno e Ceci ha un posto d’onore nel business. Nei giorni scorsi L’Espresso ha ricostruito scontri e relazioni di quella eredità molto ambita. L’ex pizzaiolo autore del libro “Maradona, il sogno di un bambino” ha un ruolo chiave in questi intrecci. Controlla due marchi, D10S e la silhouette di Diego Armando che corre. I ricavi finiscono nelle casse della Diez di Dubai: anche se vengono prodotti in Italia sono sottoposti a una tassazione quasi nulla. D10S è tra i più noti: è finito, tra le altre cose, su un’edizione celebrativa delle patatine Amica Chips e addirittura su un bambolotto Cicciobello dedicato ovviamente a Maradona.

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Ceci spiega di avere un contratto di tre anni (rinnovabile per altri due) con la Ssc Napoli di Aurelio De Laurentiis e dichiara di versare regolari quote agli eredi. Diego Junior, uno dei figli di Maradona che ha tentato senza troppo successo la carriera da calciatore (un’esperienza nel beach soccer e poi qualche comparsata da allenatore nelle serie inferiori), non è troppo d’accordo. Ha avuto parole pesanti nei confronti di Ceci in occasione dei festeggiamenti per la vittoria dello scudetto e anche quando l’imprenditore ha regalato a Napoli una statua del suo idolo: «C’è sempre Ceci di mezzo, ha regalato una statua alla società, sembra una persona buona, ma è solo una mossa di marketing. Se la statua l’aveva fatta il maestro Domenico Sepe, donandola gratis, che bisogno c’era della sua? Ci sono state diverse sentenze, eppure il Napoli continua a fare affari con questo personaggio. Hanno fatto anche una festa per il compleanno di mio padre, nessuno gliel’ha chiesta».

Ceci replica, ancora a L’Espresso: «Lo ha ribadito il Tribunale di Napoli ed esiste un documento firmato da Maradona, sottoscritto da un notaio, avallato da ambasciate e altri tribunali: ho la titolarità dei diritti di immagine di Diego con la mia società Diez di Dubai. Ho avuto tre mandati da Diego, altrimenti non avrei potuto farlo ospitare a “C’è posta per te”, “Amici” o da Fabio Fazio. Non avrei potuto portarlo al San Carlo né stipulare contratti con la Fifa, con Sky, con la Rai, con Tim per la campagna che lanciava i 10 giga. Ho 37 accordi portati a termine con lui e l’ho accompagnato a 63 eventi. Questa è storia».

Storia iniziata con i viaggi notturni in treno per assistere alle acrobazie pallonare di Maradona e iniziata per davvero nel 2000 a Cuba, con un’amicizia inseguita e finalmente sbocciata. Da allora e per più di 15 anni Diego Armando e Tanito (diminutivo di Tano, parola che gli argentini usano per designare gli italiani) sono stati inseparabili. Fino al ritorno di Maradona in Argentina: da qual momento in poi i contatti si diradano ma Ceci trova il modo di incontrare il suo amico ogni quindici giorni. L’esplosione della pandemia e il lockdown stoppano i viaggi ma non la sintonia tra i due. L’ultimo contatto avviene una settimana prima dell’operazione del Diez e dell’aggravarsi delle sue condizioni. Da allora gli scontri con la famiglia sono aumentati ma non al punto di scalfire i ricordi di una vita. Belli e brutti. Le mattine nascoste sotto la tettoia del San Paolo per evitare i controlli, le canzoni napoletane cantate all’alba dopo una serata di eccessi, il carcere incontrato per la droga che girava attorno al campione. E un processo finito bene, con il dispositivo della sentenza che, raccontò Ceci al Corriere della Sera, dice «tossicodipendente cronico sì, ma non alla cocaina: a Maradona».