«È un grande peso, il peso di una donna che ha avuto anche la fortuna di essere qui oggi a raccontarlo. Ce l’ho fatta, e tutto questo grazie all’aiuto di tantissime persone e alla grande forza che io ho avuto. Sto portando avanti un messaggio contro la violenza. Il tutto è racchiuso in questo libro: Io non muoio”, scritto da Emilia Condorelli, giornalista, dove proprio nella parte finale c’è scritto: «Io sono una come tante. Se sono ancora viva è per avvertire gli altri prima che sia troppo tardi». Questa è la mia missione, questo è ciò che voglio fare della mia vita: aiutare gli altri, aiutare a prevenire la violenza affinché non ci siano altre donne, giovani o ragazzi a trovarsi nelle stesse mie problematiche. O, addirittura, affinché non ci siano altre vite spezzate».

Si racconta a cuore aperto, Maria Antonietta Rositani. La sua storia è ormai nota all'Italia. Una donna sopravvissuta alle fiamme che il suo aguzzino ha generato per toglierle la vita. Un amore tossico, denuncia e subito dopo il calvario. Ma la forza delle donne sta proprio qui. Ma prevenire è possibile ed è un impegno di civiltà che riguarda tutti.

«Quello che voglio lanciare è un messaggio di prevenzione. Lo sto facendo. Spesso e volentieri, una delle cose più difficili per una donna vittima di violenza è affrontare la paura, perché si ha paura di denunciare. Avere coraggio, in questo caso, vuol dire affidarsi. La paura è tanta ed è inutile, ma bisogna fidarsi e affidarsi. Oggi, assieme all’associazione Cult Stop e Violenza, stiamo portando avanti un protocollo con il numero 1522. Bisogna denunciare, bisogna attivarsi: insieme si può davvero fare la differenza».

Quello che bisogna affrontare, invece, viene dopo. Maria Antonietta Rositani più volte detto che il calvario è iniziato dopo le ferite, quelle dell’anima, quelle legate al ricominciare. Cosa significa? Cosa chiedi? Cosa avete chiesto di affrontare? Cosa vuol dire non dover chiedere aiuto subito dopo?

«Questo, purtroppo, è un altro messaggio, un qualcosa che io non lancio mai, perché credo che, se si vuole aiutare una donna, se si vuole aiutare qualcuno a non essere come me, non dovrei parlare delle problematiche che vivo quotidianamente. Quando ero in ospedale, paradossalmente, ero accudita, curata dall’assistenza sanitaria. Poi, invece, mi sono ritrovata a uscire e quindi a trovarmi realmente sola nel dovermi curare. Cure che, purtroppo, sono molto care e che io non riesco a permettermi.

Anche su questo stiamo lavorando tanto, per portare avanti un messaggio non solo per le donne ustionate, perché l’ustione può capitare a chiunque. Ma una persona ustionata dovrebbe essere aiutata e curata dall’assistenza sanitaria. È un lungo calvario. Tutto ciò che ho potuto fare, l’ho fatto solo ed esclusivamente grazie al cuore di associazioni, persone, medici che mi hanno sostenuta e aiutata.

Sono uscita dall’ospedale con un occhio completamente aperto, ma non era solo un problema estetico: era anche un problema funzionale. Potevo perdere la vista, e anche questo intervento è stato possibile grazie al cuore di associazioni e persone che mi hanno aiutata. Come questo, tutto ciò che oggi sto facendo lo devo a loro, perché al momento non posso curarmi. Ma spero di poterlo fare in futuro».

Ma non è sola Maria Antonietta. Non lo è mai stata perchè la cronista Emilia Condarelli ha deciso di raccontare la sua storia e di dare così un messaggio di coraggio e speranza. «Questo libro non è soltanto un libro di cronaca. Io ho incontrato, ovviamente per motivi professionali, Maria Antonietta Rositani all’indomani del suo tentato omicidio. Maria Antonietta è riuscita a scappare dalle fiamme e a tornare a casa dai propri figli, ma, più ancora, proprio il giorno dopo questo gravissimo episodio, dal letto di ospedale, ha voluto lanciare un messaggio di speranza. Ha voluto dire alle donne: "Non siete sole, denunciate".

Non potevo non coinvolgermi. Non potevo assolutamente non essere parte di questo messaggio poderoso che lei ha lanciato con il sorriso sulle labbra, proprio nel momento più difficile, quando rischiava di morire. Da lì è nata un’amicizia che è andata al di là della storia di cronaca, ma soprattutto è nato un percorso di crescita. Ma soprattutto un percorso di riflessione sulla violenza: abbiamo analizzato tutte le sfaccettature ed è da qui che nasce il libro, che è diventato un progetto dedicato alla collettività, soprattutto ai giovani. Noi vogliamo parlare non soltanto alle donne, perché pensiamo che la questione della violenza vada al di là del genere e al di là delle generazioni. Oggi riguarda moltissimo i giovani e quindi bisogna, tutti insieme, fare rete, perché ciascuno di noi può fare la differenza».