Un gruppo di autorevoli studiosi di varie università italiane, verosimilmente guidati da Battista Sangineto, docente di metodologia della ricerca archeologica presso l'Università della Calabria, ha intrapreso una crociata contro il brand di Alarico tanto caro al sindaco di Cosenza Mario Occhiuto.

 

«L’amministrazione comunale ha passato il segno falsificando la storia e portando alle estreme e perverse conseguenze una costruzione identitaria che poggia su basi palesemente false» scrivono tra l’altro in una lettera indirizzata al ministro Franceschini. Tra i firmatari anche Salvatore Settis ed altri personaggi appartenenti al gotha internazionale dell'archeologia e dell'antichistica.

 

A queste critiche il primo cittadino risponde con una lunghissima nota nella quale chiede di non confondere «due esigenze legittime e sacrosante, ovvero la valorizzazione delle risorse culturali della nostra città e la messa in sicurezza del centro storico, presentate come fossero antitetiche e non, invece, complementari. Gli studiosi giudicano Alarico con il codice dell’illuminismo» scrive il sindaco, difendendo le ragioni di una scelta utile a conferire alla città un’attenzione mediatica internazionale.

 

Leggendo le cronache di questi giorni, i cosentini si chiedono chi abbia così timore di Alarico e in che modo coltivarne il mito possa arrecare danno a quella vecchia Cosenza il cui degrado non è mai stato un mistero. Lo stesso Guccione, qualche giorno fa in una conferenza stampa, non ha avuto difficoltà ad indicare in Giacomo Mancini l’ultimo sindaco capace di intervenire strutturalmente su quest’area abbandonata già negli anni ottanta, ammettendo tacitamente e placidamente l’immobilismo della sindacatura Perugini e dei cinque anni trascorsi dall’esponente Pd tra le mura di Palazzo dei Bruzi con la consistenza di un ectoplasma. Adesso che Occhiuto ha resuscitato il mito di Alarico e dei suoi tesori, docenti e studiosi riportano alla ribalta le straordinarie figure storico-letterarie simbolo dell’Atene della Calabria: Aulo Giano Parrasio, Sertorio Quattromani, Valentino Gentile, Francesco Saverio Salfi, Alfonso Rendano e soprattutto Bernardino Telesio. Nel 2009 è stato celebrato l’anno telesiano a cinquecento anni dalla nascita del grande filosofo. E che cosa è rimasto alla città di quell’importante appuntamento culturale, a parte la costosa opera di Battiato e Sgalambro che non ha varcato gli angusti confini di Cosenza? Lo stesso degrado e le stesse case cadenti di cui oggi qualcuno si è improvvisamente accorto.

 

Telesio non ha salvato Cosenza vecchia e certamente neanche Alarico sarà sufficiente ad arrestarne la decadenza. Ma al barbaro re dei Goti, che ha già sul groppone le macerie del sacco di Roma, non imputiamo anche la distruzione della città affacciata sul Crati.

 

Salvatore Bruno