Carmen danza. Lo fa dal giorno in cui, poggiando le mani sul pavimento, ha sentito la musica e gli ha dato una forma, un volume, un colore proprio. Oggi si alza sulle punte come fosse fatta d’aria, allunga il collo da cigno e si avvolge in pirouette sulle assi del teatro Massimo di Palermo, tra i più grandi d’Europa. Carmen ha il ritmo dentro ma non ci sente. Non avevano dubbi i dottori, quando a casa Diodato si accorsero che i rumori non la scuotevano, che lei non girava il capo se qualcuno la chiamava per nome, neanche battendo le mani. Aveva due anni e una pentola d’acciaio pesante cadde dal tavolo rovinando sul pavimento. La bambina continuò a dormire, neanche se ne accorse. Così arrivò un consulto, poi la diagnosi di sordità congenita, e infine una scelta. Se un medico ti dice che tuo figlio non ci sentirà mai puoi imboccare la paura o cavalcare l’audacia; puoi chiudere quel bambino sotto un vetro per difenderlo dal mondo o aprire la porta e accompagnarcelo, nel mondo. Quella porta sulla vita è stata spalancata subito e Carmen è nata, di nuovo.

Il talento non si insegna ma bisogna prendersene cura, come avviene con le parole, mai udite, che escono fluenti dalla sua bocca. «Mia madre e mio padre non mi hanno mai fatto sentire diversa e alla disperazione hanno preferito la reazione. Sono stata subito affidata alle cure di una logopedista, una donna straordinaria e tenace. Io non ho mai imparato il linguaggio dei segni perché la mia insegnante voleva che imparassi subito a parlare, a leggere le labbra. I sordi non sono muti, solo che non sentendo alcun suono, non riescono ad esprimerlo con la voce. Ecco perché è davvero molto importante insegnare il suono e come emetterlo. Fin da piccola avevo degli obiettivi, non facili, ma li ho raggiunti tutti: parlo e ballo e ne sono orgogliosa».

Carmen Diodato è una splendida ballerina professionista del corpo di ballo del Teatro Massimo, un miracolo di tenacia e lungimiranza. Con lei parliamo di memoria. «Il primo ricordo legato alla danza è l’odore del parquet di legno della sala prove, del tessuto del body appena comprato, della musica». Musica? Chiediamo. Musica, risponde. Carmen ha imparato la sua, ha disegnato altri percorsi del suono che gli altri non immaginano, e ci danza sopra. «Le vibrazioni, io le sento, ho imparato a distinguerne l’intensità, a scomporne la lunghezza. E funziona». Funziona sì, su certe corde lei ha costruito un mondo che non è un tappeto di silenzio ma di colore.

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Le chiediamo: se il suo udito fosse come quello degli altri, la danza sarebbe nella sua vita? Stringe le labbra. «Non so, io ho sempre desiderare fare questo nella vita, ho fatto solo questo, nient’altro, non riuscirei a immaginarmi diversa».

E lei diversa non lo è mai stata, forse speciale. Speciale per la grinta e la pazienza che ci ha messo a inseguire un sogno costruito senza saltare gli ostacoli ma danzandoci sopra. A quattro anni inizia con le prime lezioni di pre-danza e mentre, negli anni, tante compagne lasciavano dedicandosi ad altro, lei era sempre lì, con il body sotto ai jeans. «Conservo ancora le scarpette e il costume del primo saggio, le guardo sempre, mi danno coscienza della strada percorsa per arrivare qui. È stato quello il primo passo verso un grande amore».

Il suo ruolo nel mondo se l’è conquistato con fatica. Nel periodo della scuola la sveglia la tirava giù dal letto all’alba per recuperare i compiti, poi cinque ore in classe e dopo l’ultima campana, zaino nel bagagliaio e borsa della danza in spalla. «Mio padre mi accompagnava ogni giorno a lezione al San Carlo e mi aspettava lì fuori finché non finivo. Tornavamo a casa che era ora di cena, andavo subito a dormire e si ricominciava». Ma non le è mancato niente, la gioia di ballare compensava le tante albe scure che segnavano l’inizio della sua giornata.

Nata in Calabria, a Belvedere marittimo, a due anni con la famiglia trasloca in Campania. I sacrifici non la induriscono ma la scolpiscono, anche quando la tenacia urta contro qualche pregiudizio. Al San Carlo le consigliano di sottoporsi a un intervento invasivo per quel filo dell’apparecchio acustico collegato all’orecchio che per alcuni si vede troppo. «Ma mio padre si convinse si lasciar perdere. Ricordo che un dottore gli disse: se fosse mia figlia, non lo farei. Ed è stata una benedizione. Sarebbe stata un’inutile sofferenza».

Cominciano le audizioni, i viaggi in Italia e all’estero. Il battesimo di fuoco è all’Arena di Verona con L’Aida, poi arriva la televisione con “Italia’s Got Talent” a cui partecipa come concorrente. La vita la porta in Sicilia, a Palermo. Lì trova un lavoro nella compagnia del teatro Massimo e l’amore di Mirko Coco, un giovane tenore che è sempre al suo fianco. E adesso? «Adesso sogno di ballare con Roberto Bolle ma intanto in primavera esordisco in un cortometraggio con Mirko, il cinema mi piace, chissà…». Così nascono le stelle danzanti, quelle con il caos dentro ma anche tanta luce.