«I detenuti presenti nei nostri istituti ora sono 61.356, la capienza regolare è di 51.157 posti e i posti regolarmente disponibili sono 47.247. L'indice di affollamento è 129,86. In alcuni istituti quest'ultimo dato è molto più altro, purtroppo. Gli atti di autolesionismo dall'inizio dell'anno sono 4.283, +177 rispetto allo scorso anno. I suicidi sono 32, i tentati suicidi 668. Le aggressioni fisiche al personale di Polizia Penitenziaria sono 666, quelle al personale amministrativo 27. Stiamo andando verso le mille aggressioni. C'è una situazione di difficoltà negli istituti, combattuta e attenuata dalle persone che vi operano e che però ha bisogno di un'implementazione di risorse molto importante. Per avere la medicina penitenziaria ci vogliono le risorse». Lo ha sottolineato Felice Maurizio D'Ettore, presidente del collegio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, intervenendo al convegno “Carcere e salute” organizzato dall'Università Lumsa, a Roma e coordinato dalla professoressa Letizia Caso.

«Ora il Dap sta tentando, attraverso il ministero della Sanità, di supplire ad alcune carenze che ci possono essere sui territori regionali. Io vado a parlare con presidenti di Regione - ha proseguito il Garante - per cominciare a trovare delle soluzioni. In Campania, Veneto, Calabria, ora vedremo se anche nel Lazio e altre, stiamo proponendo una serie di protocolli. Stiamo aspettando il parere del Dap su questi protocolli, ma nel frattempo alle Regioni li proponiamo, perché penso che sia opportuno arrivare ad una soluzione».

«Così come stiamo proponendo - ha reso noto il Garante - al ministero della Sanità di dare delle prestazioni che si aggiungono a quelle delle Regioni che si sono rese disponibili. La malattia diventa una problematica più ampia con la situazione di detenzione e il diritto alla salute, sancito dalla Costituzione, vale per tutti, quale che sia la condizione del soggetto».

«Oramai c'è una situazione di disagio e di patologia mentale molto diffusa, l'area del disturbo è così elevata, ovviamente per chi è detenuto - ha detto nel suo intervento la direttrice del carcere di Regina Coeli, Claudia Clementi - si associa a tutta una serie di altre difficoltà, oramai il carcere non può essere più la risposta unica a queste situazioni. È vero che i detenuti sono soggetti in custodia cautelare o che hanno commesso dei reati e quindi debbono giustamente scontare una pena, però in alcuni casi la problematica relativa al disturbo mentale, pur non determinando un'incapacità d'intendere e di volere, prevale sulla commissione del reato».

«E allora l'unica cosa che si può fare è dare una risposta integrata - sottolinea Clementi - che preveda una collaborazione tra le vari professionalità: quella degli operatori penitenziari e quella degli operatori sanitari. A volte non conosciamo i dati sanitari dei detenuti, a causa della normativa sulla Privacy, non sappiamo quali sono le persone con disturbi diagnosticati e chi assume terapie prescritte dagli psichiatri. Non sappiamo quali e quanti sono i detenuti tossicodipendenti. E quando parliamo di dipendenze oggi, non parliamo di quelle tradizionali, ma di polidipendenze, da sostanze che non sono ancora classificate».