Il geologo ed ex direttore della Protezione civile regionale è intervenuto a Mi manda Rai Tre per commentare le gravi carenze infrastrutturali. Il viadotto di Longobucco archetipo di ciò che non andrebbe mai fatto: «Nemmeno un bambino costruirebbe in un fiume»
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Nell’Italia del Ponte Morandi che cade a pezzi e conta i suoi morti - come le 21 vittime dell’autobus precipitato martedì scorso da un viadotto di Mestre a causa di un guardrail vecchio di 60 anni - la Calabria occupa purtroppo un posto di primo piano. E spesso diviene l’archetipo di ciò che non funziona attirando l’attenzione dei media nazionali. È successo ancora, con l’ultima puntata di Mi Manda Rai Tre, andata in onda questa mattina. I riflettori si sono accesi nuovamente sul viadotto crollato a Longobucco il 3 maggio scorso, incredibile esempio di come le cose non andrebbero fatte, che solo per un pelo non si è tramutato nello scenario dell’ennesima tragedia. Ma a testimoniare cosa sarebbe potuto succedere c’è uno stravisto filmato che mostra il ponte crollare nel fiume nel quale era stato costruito. Soltanto 60 minuti prima era stato chiuso al transito dall’Anas, che è così riuscita a scongiurare la strage sul filo del rasoio.
Ospite di Federico Ruffo, il giornalista che conduce la storica trasmissione Rai, è stato il geologo Carlo Tansi, ex direttore della Protezione civile calabrese e spina nel fianco delle amministrazioni pubbliche che non fanno il proprio dovere in termini di prevenzione.
Tansi ha ripercorso gli eventi del maggio scorso, mettendo l’accento sull’assurdità costruttiva dell’infrastruttura in provincia di Cosenza, i cui piloni sono stati piantati direttamente nell’alveo del fiume che scorre una decina di metri sotto. «Quello che accadde in Calabria – ha detto il geologo - è una continua sagra degli errori progettuali, ma in questo caso siamo all’assurdo più totale, perché anche un bambino si sarebbe accorto che i piloni non potevano poggiare sul letto del fiume. Ovvio che sarebbe venuto giù». E non era neppure la prima volta. «Nel 2009 - ha ricordato Tansi - per lo stesso attraversamento, fu costruito un viadotto alto appena due metri sul livello del fiume. Ma crollò subito. Quindi pensarono bene di limitarsi ad alzare la sede stradale, costruendo quello che poi si sarebbe sbriciolato solo 10 anni dopo. Come possano accadere queste cose è davvero difficile da comprendere. Questi corsi d’acqua sono le classiche “fiumare”, che in caso di precipitazioni intense si trasformano, arrivando a trasportare massi con un diametro anche di tre metri, che con una violenza incredibile travolgono tutto ciò che incontrano, ponti compresi».
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Secondo l’ex direttore della Protezione civile, ai marchiani errori di progettazione si aggiunge la mancata manutenzione: «Il cemento armato è un materiale di straordinaria utilità, ma ha una precisa data di scadenza come lo yogurt. Dopo 60 anni il calcestruzzo comincia a sbriciolarsi, il ferro si arrugginisce e si trasforma. In Calabria sono innumerevoli le infrastrutture che hanno ormai raggiunto da molto tempo questo limite di sicurezza perché costruite negli anni ‘60 e ‘70, e se manca un’adeguata manutenzione crescono i rischi. Le strade su cui ha competenza l’Anas, dunque lo Stato, godono di una manutenzione discreta, ma quelle che sono di competenza di Comuni e Province sono spesso abbandonate a loro stesse perché gli Enti locali non hanno fondi per intervenire».
Per rendere il concetto ancora più chiaro, Tansi ha richiamato un episodio storico: il crollo del viadotto “Cannavino”, a Celico, venuto giù il 29 agosto 1972 con le vite di due operai che precipitarono insieme per 120 metri. Si chiamavano Vittorio Bevilacqua, 33 anni, e Angelo Gabriele, di 50. «Un terzo operaio – ha raccontato il geologo calabrese - rimase appeso con la forza della disperazione per ore ai tondini di ferro che spuntavano dal cemento, prima di essere tratto in salvo. Ma non si è mai ripreso da quella sconvolgente esperienza, tanto da essere travolto da un grave disagio psichico per tutto il resto della sua vita».