Quando un uomo tra la folla gli scagliò contro una miniatura del Duomo di Milano
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Il 13 dicembre 2009 nessuno sapeva ancora chi fosse Massimo Tartaglia. Almeno fino alle 18.20 di quel pomeriggio. Silvio Berlusconi era Presidente del Consiglio ed erano i tempi dello strappo con Gianfranco Fini e degli attacchi ai giudici e a Giorgio Napolitano. Il Popolo della Libertà era stato fondato a marzo, ma lo spessore del premier mise da subito in ombra le ambizioni di chi proveniva da Alleanza Nazionale. Specialmente del suo esponente di spicco che avrebbe da lì a poco esaurito la sua azione politica.
Quel giorno Silvio tenne un comizio a Milano per lanciare il tesseramento. Fissò al milione la soglia minima con cui si sarebbe potuto ritenere soddisfatto. Dal palco recitò a memoria il suo campionario: i comunisti, l’informazione deviata e i giudici politicizzati. Fu contestato da un gruppetto isolato, ma rivolgendosi ai suoi disse: «Noi non faremmo mai una cosa del genere, voi volete trasformare l'Italia in una piazza urlante che insulta e condanna». Poi sfoderò il cavallo di battaglia: «Vergogna, vergogna, vergogna».
Massimo Tartaglia non era tra chi intonò slogan contro di lui. Era mimetizzato tra la folla e ascoltò una per una le parole di chi sembrava fosse eterno. Mentre Berlusconi riceveva gli applausi degli elettori di centrodestra, ai quali aveva annunciato l’accordo per le Regionali con l’estrema destra di Storace e il partito della Santanché, gli si avvicinò senza farsi notare da nessuno.
Chiunque lo avrebbe scambiato per uno dei suoi fan. Avanzò fino ad averlo a pochi metri. In quel preciso momento sfoderò da sotto la giacca una statuetta del Duomo e gliela scagliò addosso colpendolo in pieno volto. La scorta trascinò il Cavaliere barcollante nell’auto blindato. Lui barcollò col viso insanguinato. Attimi drammatici, di tensione, dal sapore anni ’70.
L’aggressore sfuggì al linciaggio della folla solo perché gli agenti furono scaltri a trascinarlo via. Le immagini di Silvio ferito fecero il giro del mondo in un amen e l’aggressore fu arrestato. Successivamente disse che vedeva in lui tutto ciò contro il quale era giusto lottare e che non gli scese mai giù una frase che gli addebitò tre anni prima: «Non ci credo che esistano così tanti coglioni che votano a sinistra».
Qualcosa che gli fece covare vendetta fino a farsi giustizia in piazza. Tartaglia fu portato in Questura, ma la Digos capì subito che non aveva tra le mani un terrorista o un estremista. Era un uomo in cura da 10 anni per problemi mentali. L’anno dopo fu assolto perché totalmente incapace di intendere e volere. Ma ha vissuto in libertà vigilata fino al 2016, quando il giudice gliel’ha revocata.
L’eco del gesto fu enorme e il mondo del calcio, dove Berlusconi alimentò il suo consenso elettorale, non stette a guardare. In Cosenza-Spal 3-1 di sette giorni più tardi gli ultrà dei Lupi non si fecero sfuggire l’occasione di ribadire la distanza ideologica dal premier ed esposero uno striscione ironico: “Siamo tutti Tartaglia”. Contestualmente, a Livorno, invece, la partita fu interrotta per due minuti per il lancio di petardi mentre i tifosi locali intonarono alcuni cori proprio contro il premier. Le due tifoserie occuparono il giorno dopo le pagine di quotidiani nazionali, e non solo locali, come La Repubblica, L’Unità e il Corriere della Sera. Qualcuno parlò di “istigazione alla violenza” altri invece di puro “slogan goliardico”.