VIDEO | Il nostro omaggio per la festa del 19 marzo, con la speranza di tornare a sorridere insieme
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È ancora sulla scrivania di mio padre, in uno studio vuoto che parla di assenze da quasi diciotto anni, il tubo di cartone della carta igienica trasformato in un portapenne decorato a camicia e cravatta. “Auguri papà”, aveva fatto scrivere la maestra. A me? A mio fratello? Non lo ricordo. Ma ricordo l’unica volta in cui ho chiesto a mio padre perché non gettava via – o almeno nascondeva – quell’obbrobrio. «Mi parla di voi e del vostro amore ogni volta che lo guardo» mi aveva risposto. Ci teneva dentro due matite, due come noi figli, messe in modo da non far cappottare quel bricolage instabile, colorato a mano sui banchi delle scuole elementari. Le matite sono sopravvissute a lui e ai tanti 19 marzo passati insieme. Perché per lui, Giuseppe, era una doppia festa.
Da quando mio padre non c’è più – non nella forma in cui non smetterà mai di mancarmi, fatta di abbracci, scambi continui, confronti – penso a quel portapenne di cartone ogni volta in cui si avvicina la festa del papà. Ci ho pensato anche quando, nei giorni scorsi, il reparto di postproduzione del nostro gruppo ha iniziato a lavorare sul promo appena “rilasciato”, come diciamo in gergo: appena messo in onda sul nostro network e su tutti i nostri device.
I padri. Che grande regalo, i padri. Il primo uomo amato da ogni figlia, il primo uomo imitato e preso ad esempio da ogni figlio. Quando cresciamo con loro, e grazie a loro, li diamo per scontati. Ci sono. Punto.
Come succede con le cose più preziose della nostra vita, ci accorgiamo della loro importanza quando non ci sono più.
È questo il senso del nostro omaggio per la festa del papà: la pace è preziosa, come il diritto di essere padri. Di essere figli. Gli abbracci dolorosi e definitivi che ci scorrono davanti agli occhi sono troppo dirompenti: cerchiamo di fingere che non ci appartengano, che non appartengano alla nostra quotidianità. Guardiamo quei saluti strazianti mentre consumiamo i nostri pasti, quasi rifiutandoci di dire a noi stessi che non è una serie tv, quella trasmessa dall’Ucraina su tutte le reti. Che quelle sono lacrime vere. Dolore vero, assoluto.
In quelle partenze ci sono figli. In chi resta ci sono padri. Siamo anche noi figli. Siamo anche noi padri.
Abbiamo tutti il nostro sogno di pace. Abbiamo bisogno di tornare a sorridere insieme. E dunque auguri a tutti i papà, vicini e lontani. Anche – soprattutto – a quelli troppo lontani, ma così vicini. Come il mio.