«Le misure che stanno proponendo sono pericolose, ci riportano indietro di anni». Antonella Veltri ha la valigia in mano. Ha davanti a sé un lungo fine settimana di eventi e manifestazioni a Roma: l’incontro all’ambasciata francese con Lucia Annibali, il grande corteo “Non una di meno”, l’appuntamento con il live alla Casa della Musica di Roma i cui proventi andranno al sostegno dei progetti a difesa delle donne. Da presidente di D.i.Re, la rete di centri antiviolenza, Veltri è tranchant rispetto ad alcune idee che hanno ripreso forza nel dibattito politico di questi ultimi giorni ammantati da un lutto, quasi familiare, per la morte di Giulia Cecchetin.

Cosa si sta sbagliando?
«Tutto, dalle idee-spot strombazzate da più parti, specie politiche, a progetti che non stanno in piedi, proposti tanto per dire qualcosa».

La storia di Giulia ha avuto un impatto diverso rispetto agli altri femminicidi, perché?
«Per una settimana si è sperato che fosse viva, forse ferita, ma viva. Abbiamo seguito gli aggiornamenti, letto le cronache, pregato con la famiglia. Quando è stato trovato il suo corpo tutto si è infranto e il dolore è straripato».

Diceva che stiamo sbagliando tutto, che l'approccio della politica non è quello giusto, perché?
«Lo dico subito: una formula magica per cambiare immediatamente il vento non c’è. Siamo in ritardo, questo è certo. Abbiamo sprecato tempo prezioso per mettere su un sistema preventivo che contrastasse le violenze sulle donne per davvero».

Chi dovrebbe farlo?
«Le Istituzioni, ma la strada che hanno scelto è quella sbagliata».

Cioè?
«Agiscono da soli, non ci hanno mai chiamato. Mai. Le associazioni che si occupano di contrastare la violenza sulle donne da anni, dovrebbero essere le prime della lista da contattare, invece sono le ultime, forse neanche le ultime. Un atteggiamento inspiegabile, perché noi abbiamo un’esperienza ultradecennale alle spalle, lavoriamo sul campo, sappiamo muoverci, non facciamo demagogia, noi agiamo».

Si parla di introdurre l’educazione sentimentale nelle scuole. È d’accordo?
«E chi dovrebbe farla? Dove sono le persone formate in questo senso? Gli insegnanti? Non credo. Sa qual è il rischio? Veicolare messaggi sbagliati. In alcune zone d’Italia si fa formazione seria anche nei tribunali, ma non è un’iniziativa messa a sistema. Si procede a macchia di leopardo. Così non si va da nessuna parte. Qui si continua a parlare di famiglia tradizionale, di donna che cucina e uomo che lavora, forse pensiamo di esserci evoluti ma non è proprio così».

Chiara Ferragni dal palco di Sanremo ha deciso di sostenere i centri antiviolenza della rete D.i.Re di cui è presidente, anche economicamente. Un bel faro acceso su una rete troppo spesso trascurata da chi governa.
«È stata lei a contattarci nel settembre dello scorso anno e da lì non ci ha mai lasciati soli. Poi mi lasci dire una cosa: non è stato un intervento a favore di telecamere, anzi: Chiara è in costante contatto con noi. Vuole sapere a che punto siamo, come ci stiamo muovendo, di cosa abbiamo bisogno. Non si sottrae. Il focus della nostra collaborazione gira intorno al raggiungimento dell’autonomia economica della donna che porta alla possibilità di autodeterminarsi. Sono sicura che faremo tanta strada insieme».

Si discute tanto del lessico che si utilizza, anche sui media, quando si parla di femminicidi.
«Questo è un altro punto dolente. Basta usare la parola “raptus”, sembra quasi una giustificazione, basta parlare di “patologie”. Certi concetti patriarcali, di predominio sulla donna, vengono introiettati fin dalla tenera età. Il pregiudizio comincia tra le mura di casa e i suoi frutti si vedono dopo, quando da adulti si prende il telefono della fidanzatina e della compagna per controllarlo, quando si chiede: "Fammi una videochiamata e dimostrami che sei a casa". Sono tutti atteggiamenti-spia. Quindi no, non parliamo di azioni impulsive, l’assassino non agisce accecato, ci vede bene, sa quello che fa. Ecco perché dobbiamo smontare gli antichi retaggi e dobbiamo farlo insieme. Noi siamo qui, siamo qui da sempre».