Il piano previsto dall’ultima Legge di bilancio prevede una serie di razionalizzazioni che secondo i sindacati e le opposizioni cancellerà una marea di posti di lavoro. Il dirigente scolastico Aldo Trecroci: «Ci sarà un impoverimento dell'offerta formativa»
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Per la Calabria sono 79 le scuole da sopprimere, rapportate agli studenti ed alla densità abitativa di ciascuna Provincia e Città Metropolitana. Sono gli effetti previsti dal dimensionamento delle istituzioni scolastiche previsto per il triennio 2024-2027, vale a dire il procedimento attraverso il quale la Regione opera ogni anno la razionalizzazione e programmazione della propria rete scolastica. Il piano previsto dall’ultima Legge di bilancio prevede infatti una serie di tagli e accorpamenti che, secondo i dati dei sindacati e delle forze di opposizione, farà sparire nei prossimi due anni oltre 700 scuole, soprattutto al Sud. A rischio, di conseguenza, anche posti di lavoro.
Aldo Trecroci, consigliere comunale democrat di Cosenza, è dirigente scolastico del Liceo Scientifico Scorza, uno dei più frequentati dell’intera provincia bruzia. Nel battage mediatico tra le opposte fazioni sostiene che «la verità come spesso accade si trova nel mezzo», ma non nega che la valenza della discussione sia politica se rapportata a quanto (non) fatto negli anni passati. «Le linee guida regionali sono sostanzialmente equilibrate e ben strutturate - dice – Se ben applicate, consentiranno di limitare i danni conseguenti all’applicazione di una normativa nazionale troppo semplicistica».
Preside, secondo le linee guida della Regione il dimensionamento scolastico implicherà la perdita di autonomia di 29 istituti in provincia di Cosenza e 79 in tutta la Calabria. Il Governo sostiene che il dimensionamento non provocherà nessun “terremoto” nel sistema scolastico, ma che, in alcuni casi, si potrebbero persino trarre vantaggi. Le opposizioni denunciano desertificazione scolastica nelle aree interne e perdita di posti di lavoro. Dove sta la verità?
«La Calabria è tra le regioni più penalizzate dalle nuove norme ministeriali in tema di dimensionamento scolastico. La norma demanda alle regioni la scelta delle istituzioni scolastiche da rendere autonome determinandone il numero con una semplice operazione matematica e cioè numero degli studenti diviso 900 (numero medio di alunni per istituzione scolastica). È evidente che tale semplificazione comporterà delle sperequazioni tra realtà regionali differenti. Laddove i centri urbani sono prevalenti il numero complessivo di istituzioni scolastiche autonome probabilmente soddisferà le reali esigenze organizzative, in regioni come la Calabria, con minore densità abitativa, questo non accadrà e sicuramente ci saranno territori penalizzati da una scelta politica troppo semplicistica. Le ricadute comporteranno non soltanto la perdita di posti di lavoro, ma, soprattutto, un impoverimento dell’offerta formativa.
Di contro bisogna dire che la politica locale negli anni precedenti l’ultima normativa è stata tutt’altro che lungimirante. Troppo spesso in Calabria si è operato in tema di dimensionamento scolastico (ma anche in tema di autorizzazione all’ampliamento dell’offerta formativa prevedendo nuovi indirizzi di studi negli istituti scolastici) secondo logiche orientate al soddisfacimento di interessi individuali e/o particolari spesso avulse, o in alcuni casi addirittura contrastanti, dalle reali esigenze di miglioramento dell’offerta formativa regionale. Sostanzialmente in Calabria si paga anche la rinuncia, di fatto, alla realizzazione di un dimensionamento scolastico organico e funzionale alle reali esigenze della popolazione. Quindi la verità a mio parere, come molto spesso accade, si pone a metà tra le due tesi».
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La perdita di dirigenti e personale Ata sarà particolarmente evidente in alcune regioni dove, negli anni passati, il dimensionamento è stato condotto in modo particolarmente “blando”. La Calabria è tra queste, ennesimo episodio di come ci si riduce sempre all’ultimo?
«Come detto in Calabria il dimensionamento scolastico è stato condotto finora non solo in modo “blando”, ma anche piegandosi a pressioni che miravano a tutelare interessi particolari più che a migliorare l’efficacia dell’offerta formativa regionale. Non si tratta solo di “essersi ridotti all’ultimo”, ma anche di non aver effettuato per tempo scelte politiche “coraggiose” finalizzate a tutelare l’interesse della collettività».
Il criterio delle linee guida regionali, a cui gli Enti locali si dovranno adeguare, è promuovere gli accorpamenti nei grossi centri, mantenendo invece le autonomie scolastiche nei piccoli comuni, nelle aree interne e nelle aree periferiche che vivono condizioni di particolare disagio. È la strada giusta?
«Le linee guida regionali sono sostanzialmente equilibrate e ben strutturate. Un’applicazione intelligente, non piegata a logiche e interessi particolari, consentirà di limitare i danni conseguenti all’applicazione di una normativa nazionale troppo semplicistica».
Lei è al vertice di uno degli istituti più frequentati dell’intera provincia. Focalizzandoci sulle scuole inferiori, in molti denunciano il fenomeno delle “scuole mostro” che fagocitano iscritti più del dovuto. Non sarebbe il caso di mettere limiti?
«Questa tematica ha una dimensione più ampia e deriva da una impropria interpretazione dell’autonomia scolastica. La risoluzione del problema secondo il mio parere è subordinata anche a un corretto dimensionamento scolastico e all’eliminazione delle fasce di complessità degli istituti scolastici, tra l’altro effettuata in modo assolutamente irrazionale, illogico e approssimativo. L’orientamento scolastico è spesso finalizzato più alla caccia di nuovi iscritti che alle sue finalità più proprie. Il corretto dimensionamento scolastico e la creazione di poli di istruzione (liceali, tecnici e professionali) eliminerebbe in buona parte la proliferazione di indirizzi di studio negli istituti senza una logica che non sia quella di “accaparrarsi” qualche iscritto in più. L’eliminazione delle fasce di complessità eliminerebbe la spinta da parte dei dirigenti scolastici a rendere più complessa la propria scuola per garantirsi un trattamento economico migliore. Tra l’altro un corretto dimensionamento elimina di fatto la diversità di complessità tra scuole».
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Quale potrebbe essere la soluzione ideale per le scuole delle aree interne, che da anni fanno i conti con lo spopolamento?
«Il problema dello spopolamento delle aree interne travalica la dimensione scolastica. È un problema più ampio di ordine politico. In Calabria ci sono splendide realtà di comuni virtuosi e ben amministrati che soffrono lo spopolamento a causa dei pessimi collegamenti viari (per esempio Parenti). Lo spopolamento delle scuole è conseguenza dello spopolamento dell’area geografica. Le soluzioni devono quindi essere trovate inventandosi politiche adeguate di ordine più generale. Qualche idea: concessione gratuita di terreni incolti ai giovani, incentivi per l’avvio di attività imprenditoriali e artigianali in aree interne, defiscalizzazione parziale o totale delle attività produttive nelle aree interne, ovviamente miglioramento delle vie di comunicazione. Sono però tutte politiche di medio lungo termine, le scuole nelle aree interne devono essere mantenute aperte anche in deroga alle norme vigenti. Se si vuole richiamare popolazione deve essere garantito il servizio scolastico, almeno fino alla scuola secondaria di primo grado».
La discussione sul dimensionamento ha valenza politica come appare oggi o dovrebbe restare nell’alveo di una riforma amministrativa?
«La risposta a questa domanda è contenuta nelle precedenti. Ovviamente ha valenza politica».