Di bullismo e cyberbullismo si parla nelle scuole, nei talk show, nelle tante manifestazioni, spesso promosse con la partecipazione di psicologi e forze dell’ordine, organizzate a grappoli anche in Calabria. Meno nei tribunali, dove la macchina della giustizia non ha ancora individuato le procedure più adeguate per punire i responsabili e risarcire le vittime. Perché, mentre la piattaforma dei social si amplia, e con essa anche i pericoli per chi ne fa un uso distorto, il codice arranca, fatica ad inquadrare la tipologia del reato da perseguire, lasciando di fatto il succube dei bulli privo di difese.

Norme del codice inefficaci

Il tema, di stretta attualità, è stato trattato per iniziativa dell’Aiga, l’Associazione Italiana Giovani Avvocati, nel corso di una tavola rotonda ospitata nella biblioteca Arnoni del tribunale di Cosenza. Coordinato da Giuliano Arabia, segretario della locale sezione dell’Aiga, l’appuntamento ha registrato tra gli altri, l’intervento di Alessia Bausone, dottoranda di ricerca in teoria del diritto e ordine giuridico ed economico all’Università Magna Grecia di Catanzaro, che abbiamo intervistato.

La testimonianza della madre di Michele

Tra i relatori anche il commissario Tiziana Scarpelli, della sezione di polizia postale e delle comunicazioni della questura di Cosenza, la psicologa clinica e psicoterapeuta Alessandra Aggazio, l’esperta in tutela dei diritti umani Morena Rapolla, la vicepresidente nazionale Aiga 2015-2017 Aurelia Zicaro. Centrale la testimonianza di Maria Catrambone Raso, mamma di Michele Ruffino, il 17enne che nel marzo scorso si è tolto la vita lanciandosi da un ponte ad Alpignano, nel torinese, dopo aver subito per anni le angherie dei compagni di scuola