Nel giorno in cui si aprono ufficialmente le celebrazioni per i 130 anni dalla nascita di Corrado Alvaro, la scena culturale calabrese si ritrova spaccata tra il ricordo dello scrittore e l’ombra lunga del commissariamento che, da settimane, grava sulla Fondazione a lui intitolata. Un passaggio che ha generato non solo sconcerto tra gli accademici, ma anche una profonda riflessione su cosa significhi oggi promuovere cultura in Calabria.

A dare voce a questo disagio è stato il professor Aldo Maria Morace, già presidente della Fondazione commissariata qualche settimana fa dalla Prefetto Clara Vaccaro, intervenuto in diretta al TG delle 14 di LaC News24, in collegamento da Palazzo Campanella a Reggio Calabria, sede del consiglio regionale. Le sue parole hanno restituito tutta la tensione di un momento che, proprio nel giorno dedicato ad Alvaro, assume i contorni di un paradosso istituzionale.

«Sto vivendo Pirandello»

«È una situazione pirandelliana. L’ho detto subito. Dirigo l’edizione nazionale di Pirandello, ma non immaginavo di doverlo vivere così». La dichiarazione arriva secca, in diretta, e dà immediatamente la misura della frattura.

Il cortocircuito tra celebrazione pubblica e decisione amministrativa è netto. Un uomo che per decenni ha lavorato alla tutela e alla valorizzazione dell’opera di Corrado Alvaro si ritrova, nel giorno dell’anniversario, fuori da quella stessa struttura che ha contribuito a rendere un punto di riferimento per studiosi, scuole, archivi, territori. La cultura, in questa vicenda, si rovescia su se stessa. «Sto vivendo Pirandello», ripete Morace. Non per effetto teatrale, ma per descrivere un’istituzione che nega la propria stessa storia.

Commissariamento e ricorso al Tar: «Abbiamo tutte le ragioni»

Il commissariamento della Fondazione è avvenuto settimane fa, in un clima che Morace ha descritto come freddo, improvviso, privo di confronto. Ai nostri microfoni, l’ex presidente annuncia che sarà presentato ricorso al TAR, convinto che le motivazioni del provvedimento siano ingiustificate.

«La nostra azione è quella di chi crede nella cultura letteraria e nella scientificità di ciò che portiamo avanti», afferma. E prosegue: «Sembra che questo oggi interessi poco. L’importante è l’effervescenza mediatica».

Non ci sono toni concilianti, né l’intenzione di abbassare lo sguardo. Morace parla da intellettuale ferito, ma anche da uomo di istituzione che rivendica il lavoro svolto. Il riferimento è chiaro: non si contesta solo una decisione tecnica, ma si interroga il senso stesso di uno Stato che rimuove cultura mentre la celebra.

Nessuna rivendicazione astratta, nessuna nostalgia fine a se stessa. Morace elenca, con pacatezza e precisione, ciò che è stato costruito negli anni: digitalizzazione dei documenti alvariani, bibliografie specifiche, un sito web frequentato da studiosi internazionali, una rete di volontari nelle scuole che ha portato i ragazzi a riscoprire Alvaro attraverso la scrittura creativa.

«Ci arrivano messaggi da docenti che ci ringraziano», racconta. E non è retorica: è una linea di lavoro educativa, strutturata, attiva, che ha messo in dialogo il pensiero alvariano con il presente. Per questo, afferma, il commissariamento lascia un senso profondo di ingiustizia: «Abbiamo dato tutto. Forse Alvaro non meritava tutto questo nel suo anniversario».

È una frattura simbolica e operativa, che non riguarda solo una presidenza, ma l’idea stessa di cosa significhi fare cultura nei territori interni, a partire da un borgo come San Luca.

La nota del sindaco e la “folgorazione sulla via di Damasco”

Pochi minuti prima del collegamento, una nota ufficiale del sindaco metropolitano Giuseppe Falcomatà si congratulava con il dottor Gerardis, nominato commissario della Fondazione. Un passaggio formale, carico però di significato nel giorno delle celebrazioni. Il Sindaco della Città Metropolitana parla di una nuova fase, di un rilancio dell’operatività.

Morace commenta senza esitazioni. «Mi fa piacere questa folgorazione sulla via di Damasco. Ma da quando esiste la Città Metropolitana non abbiamo mai ricevuto un cenno. Non dico di assenso, ma nemmeno di consenso». Le parole pesano. Non è una polemica, per Morace questa è una diagnosi. E il sospetto, nel luminare, che il commissariamento fosse una meta già scritta si affaccia esplicitamente: «Si è giunti lì dove si voleva giungere». La questione non è personale, quindi, ma politica e culturale.

L’attesa di un silenzio eloquente

Nel pomeriggio, un gruppo di intellettuali si ritroverà davanti alla casa natale di Corrado Alvaro, a San Luca, sede tra l’altro della fondazione sciolta dalla prefettura reggina. Non per un evento ufficiale, non per un’inaugurazione o una cerimonia, ma per un gesto semplice: un omaggio muto, un momento di raccoglimento lontano dai microfoni e dai comunicati stampa.

Morace, che sarà presente, lo anticipa ai nostri microfoni con parole misurate, ma cariche di peso: «È la casa dove per venticinque anni ho spezzato tutto, ho dato tutto ciò che avevo. E forse Alvaro non meritava tutto questo, nel suo anniversario».

A San Luca sarà quindi una risposta civile e culturale a quanto sta accadendo. Un’azione collettiva che resta in attesa di compiersi, ma che già si carica di significato: quello di una comunità che sceglie di stare, in silenzio, dalla parte della memoria e della dignità.