Ed è un altro 25 aprile. Un altro dei giorni in cui l’Italia in teoria dovrebbe essere unita, ma nel frattempo ci si nasconde dietro le paventate «questioni d’opportunità» del Marchese del Grillo per proporre «sobrie manifestazioni». Qualsiasi cosa significhi, fra l’altro. Le manifestazioni per il giorno della Liberazione dal nazifascismo non implicano nessuna sorta di esclusione dalle istituzioni, anzi. In teoria dovrebbero essere proprio loro a guidarle, ma tant’è. I tempi cambiano, e dalla festa di Liberazione è diventata improvvisamente una «festa divisiva».

Eppure il 25 aprile, in una città a forte trazione antifascista come Cosenza, è arrivato prima.

Sono arrivati prima gli Alleati, è arrivata prima la Liberazione. Ma i partigiani ci sono stati. Molti sono morti lontano dai loro affetti, in campi di concentramento o uccisi dai nazisti nel Nord Italia. Altri, invece, hanno lottato fino al 1943. L’anno in cui Cosenza fu liberata. Più precisamente, fino al 4 novembre 1943.

25 aprile, a Cosenza la Liberazione arrivò molto prima

Erano giorni in cui l’arrivo degli alleati confligge strutturalmente con la presenza in città del prefetto fascista, Enrico Endrich. Furono proprio gli angloamericani a permettere a Endrich di restare al proprio posto. Questi affamò la città, passando agli alleati nazifascisti del nord Italia le riserve di cibo. Riserve che avevano costretto Cosenza e i comuni limitrofi alla fame. Il 25 aprile è lontano, ma le lancette della storia scorrono. E le scintille sono sempre dietro l’angolo.

Da lì, in una città affamata, partì quella passata alla storia come “La rivolta di Cosenza”. La rivolta che portò alla destituzione di Endrich e alla salita di Fausto Gullo quale nuovo Prefetto al suo posto. Gli antifascisti si ritrovarono in Villa Nuova e arrivarono fino a Piazza XV marzo, dove si trovava la sede della Prefettura. Il prefetto Endrich scese per confrontare la folla, ma il confronto non ci fu davvero. Troppo affamata la gente di Cosenza, che conosceva le malefatte dell’ufficiale. E così, mentre la folla acclamava a gran voce Fausto Gullo come nuovo prefetto di Cosenza, compare l’eroe di questa storia.

Gennaro Sarcone e quel quadro spaccato in testa al prefetto

Gennaro Sarcone, nato nel 1901, arrestato e torturato dai fascisti negli anni ’30. Combatté in Spagna contro i franchisti e lì venne ferito. Si prese due pallottole nella gamba sinistra, venne curato e nuovamente internato fino al rientro in Calabria. E a Cosenza guidò la forza comunista, come stava guidando anche la ribellione in quel 4 novembre 1943.

Stando ai resoconti orali dell’epoca (e anche a qualche scritto), Sarcone spaccò in testa al prefetto fascista un quadro di Benito Mussolini a cavallo. Un gesto che riscosse la totale approvazione del popolo e l’addio di Endrich, che venne sostituito da Fausto Gullo. Un quadro spaccato in testa, un quadro per la Rivoluzione. Un quadro che distrusse l’immagine del duce e liberò Cosenza. In tempi in cui le istituzioni statali non fanno mistero dell’avere busti del duce in casa, una storia che mette le opere d’arte raffiguranti Benito Mussolini su un altro piano. Il piano della Liberazione.