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lunedì 28 ottobre 2024 | 19:20
Politica

Riforma giustizia - Separazione delle carriere, a Reggio il centrodestra tuona contro i magistrati che si oppongono: «Si candidino se vogliono fare politica» - Notizie

Continua il braccio di ferro tra la maggioranza di governo e la magistratura sulla riforma della Giustizia. Nei giorni scorsi i procuratori Lombardo e Musolino avevano espresso la propria contrarietà. Al teatro Cilea durante la festa per i due anni di Esecutivo Meloni Cannizzaro (Fi) e Sasso (Lega) ribadiscono: «Avanti tutta»

di Elisa Barresi

In alto, Cannizzaro e Sasso. In basso, Musolino e Lombardo

Il braccio di ferro tra Governo e magistratura sul tema della riforma della Giustizia e, in particolare, sul tema della separazione delle carriere, è letteralmente esploso in riva allo Stretto. E ad inasprire i toni rimarcando posizioni nette e contrarie è stato il team regionale e nazionale del Governo di centrodestra.

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Dal palco del Teatro Cilea di Reggio Calabria al grido di «separiamo le carriere dei magistrati per garantire una giustizia giusta» il deputato forzista Francesco Cannizzaro nel tracciare il bilancio di due anni di governo nazionale, ha ribadito che sulla lotta che il Governo sta portando avanti in merito alla separazione non si intende fare «passi indietro». Tutt’altro, il deputato reggino ha confermato: «Avanti tutta sulla separazione delle carriere perché non è pensabile che un magistrato possa fare allo stesso tempo il controllore e il controllato. Non è pensabile che la giustizia italiana non salvaguardi i diritti dei cittadini, degli imprenditori dei sindaci, degli amministratori che evidentemente a causa di una giustizia sbagliata ci lasciano le penne puntualmente. Guarda caso ogni qualvolta succede, spesso e volentieri succede a destra e poche volte a sinistra. E allora è chiaro che la politica nazionale ci fa capire quanto il governo sia nella direzione giusta, nel toccare il nervo scoperto che alle sinistre evidentemente dà fastidio. E allora avanti».

Le "toghe rosse"

E non sono mancati i riferimenti, anche poco velati, alle “toghe rosse” e a quei magistrati che, anche e soprattutto, in riva allo Stretto hanno preso posizione. A loro è stato lanciato l’invito a «candidarsi se vogliono fare politica, come abbiamo fatto noi altrimenti si occupassero di altro». Insomma, il terreno di scontro è fertile ma tanto scivoloso. Da un lato il procuratore facente funzioni di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo solo poche settimane fa ha dichiarato che «separare le carriere non renderà la giustizia più efficiente. Piuttosto, penso che questo nasconda problemi ben più gravi. Dietro c'è molto altro. Diciamocelo con chiarezza». E sulla ’Ndrangheta «la politica non ci ascolta», aveva aggiunto.

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Dall’altro lato, sempre dal palco del Cilea, il coordinatore regionale della Lega Rossano Sasso, ha lanciato l’ennesima freccia infuocata contro i magistrati “rossi”. «È una delle battaglie simbolo non solo di Forza Italia ma di tutto il centrodestra la separazione delle carriere. Spero possa vedere quanto prima la luce e credetemi quando la voteremo in aula saremo contenti e penseremo a tutte le vittime delle ingiustizie dei magistrati, perché in Italia c'è solo una categoria che se sbaglia non paga e sono loro».

Il braccio di ferro in riva allo Stretto

Una presa di posizione che si scontra con quella non meno netta del procuratore aggiunto Stefano Musolino che poche ore fa ha fatto discutere l’Italia intera dichiarando che «questo è un governo sovranista che non rispetta le leggi europee e punta a zittire la magistratura. Non resteremo in silenzio e difenderemo la nostra autonomia e indipendenza. Non vogliamo fare la fine di Ungheria e Polonia».

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Ribadendo che «considero pericolosa Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, nella misura in cui chiede alla magistratura di essere collaborativa, di rinunciare al suo dovere di applicare la legge. Nel momento in cui il governo chiede alla magistratura di essere collaborativa, chiede di rinunciare ad autonomia e dipendenza, invece a prescindere dal governo, deve tutelare i diritti di tutti».È, dunque, “scontro” aperto e senza esclusioni di colpi quello che porterà a decidere il futuro della Giustizia in Italia tra esigenze di tutela, storia della Costituzione e visione di un Paese che l’Europa intera guarda come modello.