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sabato 19 ottobre 2024 | 18:27
Cronaca

Inchiesta Hydra - Alleanza tra mafie a Milano, tornano liberi in 9: c’è anche il presunto capo del locale di ‘ndrangheta di Legnano - Notizie

È quanto stabilito dal gip Tommaso Perna in un'ordinanza con cui ha rigettato per la seconda volta in pochi giorni perché «tardiva  la richiesta di giudizio immediato avanzata dalla Dda

di Redazione Cronaca

Non è più «ritualmente prevedibile un esito diverso dalla liberazione degli indagati per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare». Lo scrive il gip di Milano Tommaso Perna in un'ordinanza con cui ha rigettato perché «tardiva», per la seconda volta in pochi giorni, la richiesta di giudizio immediato avanzata dalla Dda milanese per nove arrestati a fine ottobre dello scorso anno nella maxi inchiesta "Hydra", nella quale gli inquirenti hanno ipotizzato, come reato principale, un'associazione mafiosa unitaria tra componenti delle tre mafie, Cosa Nostra, camorra e 'ndrangheta.

Il giudice aveva bocciato lo scorso anno 142 misure cautelari su 153 richieste dalla pm Alessandra Cerreti, della Dda guidata da Marcello Viola e Alessandra Dolci, e aveva disposto gli arresti, eseguiti il 25 ottobre 2023, solo per 11 accusati (due poi sono tornati liberi) di reati come estorsioni e traffici di droga, anche con aggravante mafiosa, ma senza riconoscere l'accusa principale di associazione mafiosa come alleanza di affiliati delle tre mafie. Imputazione che è stata riconosciuta dal Riesame, che ha depositato in questi giorni ordinanze in accoglimento dei ricorsi dei pm. E la questione dovrebbe arrivare in Cassazione dopo le impugnazioni delle difese. I pm, intanto, il 15 ottobre hanno depositato una prima richiesta di giudizio immediato per i nove i cui termini cautelari, che durano un anno, scadranno tra cinque giorni, il 24 ottobre. Il gip l'ha bocciata perché - ha motivato - sono scaduti i termini di 180 giorni dagli arresti per presentare, da codice, questo genere di richiesta. La Dda ha riproposto l'istanza ieri, ma il gip ora l'ha nuovamente respinta, dichiarandola «inammissibile», citando giurisprudenza. E scrivendo che «sembra, quindi, che l'organo requirente abbia scientemente chiesto all'odierno decidente di emettere un decreto di giudizio immediato tardivo». In sostanza, per quelle posizioni, fa presente il gip, la Dda avrebbe potuto chiedere l'immediato nei 180 giorni dagli arresti. Non l'ha fatto e ora tra poco «inesorabilmente» scadranno i termini e si arriverà alla «liberazione degli indagati».

È «incontroverso», scrive il gip, «che il Pubblico Ministero, soltanto» il 15 ottobre, «previo stralcio delle ulteriori posizioni processuali, rispetto alle quali è oggi pendente il procedimento di riesame, ha esercitato l'azione penale chiedendo l'emissione di decreto di giudizio immediato» nei confronti dei nove.

Per la Dda il termine di 180 giorni «sarebbe - scrive il giudice - di natura ordinatoria», ma per il gip, che riporta sentenze della Cassazione, «così non è" e non può essere superato. Sempre il giudice riporta che i pm hanno motivato il «superamento» dei 180 giorni con la «eccezionale complessità del procedimento», col «rischio di compromissione delle indagini» e con la «pendenza» delle decisioni al Riesame su altri 79 indagati per cui era stato fatto ricorso contro il no agli arresti. Il gip ribadisce, però, che «non vi è alcuna discrezionalità nella valutazione dei presupposti di emissione del decreto di giudizio immediato». E i pm hanno depositato con una «consapevole scelta» la richiesta in «ritardo». Si trattava, scrive il gip, di esercitare «tempestivamente» l'azione penale per nove posizioni, per le quali erano anche state già chiuse le indagini con le misure cautelari. La Procura «ben avrebbe potuto operare lo stralcio delle posizioni processuali rispetto alle quali era stata emessa la misura, con conseguente, legittima, richiesta di emissione» dell'immediato. O formulare richiesta di rinvio a giudizio. Invece, ha deciso di «attendere» il Riesame per gli altri e così sono scaduti i termini di custodia. Ne deriva che a pochi giorni «dalla scadenza del termine di fase della misura cautelare, non risulta utilmente esercitata l'azione penale». In nove torneranno liberi. Tra loro Gioacchino Amico, finito in carcere per traffici di droga ed estorsioni (in un caso aggravata dalla finalità mafiosa), e Massimo Rosi, presunto capo del locale di ‘ndrangheta di Legnano, anche lui figura centrale dell'inchiesta della Dda. «Si resta in attesa - scrive ancora il gip - delle eventuali determinazioni di competenza dell'organo requirente rispetto alla richiesta di applicazione di una o più misure cautelari diverse». Come il divieto di espatrio o il divieto o l'obbligo di dimora.