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giovedì 3 ottobre 2024 | 19:00
Cronaca

La deposizione - Processo Reset, le estorsioni alla movida cosentina raccontate dal pentito Montemurro: «Reati per conto dei clan ma non sono mafioso» - Notizie

Il collaboratore di giustizia è stato sentito nell'aula bunker di Lamezia Terme, dove si celebra il procedimento penale contro la 'ndrangheta di Cosenza. L'ex gestore di una società di buttafuori ha spiegato le dinamiche all'interno dei due clan di riferimento mentre è saltato l'esame di Mattia Pulicanò

di Antonio Alizzi

Il collaboratore di giustizia Giuseppe Montemurro, ha dichiarato più volte nel processo Reset di non essere un mafioso ma di aver commesso reati, soprattutto estorsioni, per conto dei clan di Cosenza. Inizialmente era nella cosca degli italiani, poi con l'arresto di Francesco Patitucci, avvenuto intorno al 2012, è passato con il gruppo di Maurizio Rango. «Mi sentivo potente, avevo tanti soldi e mi piaceva stare con loro», ha detto il pentito cosentino.

La collaborazione con la giustizia arriva nel 2015. Di ritorno dalla Sicilia, Giuseppe Montemurro ha detto di aver chiamato il luogotenente dei carabinieri Francesco Parisi, il quale lo avrebbe invitato a recarsi in caserma. Il giorno dopo l'ex gestore delle società di security, che lavoravano sia negli stadi che nei locali della movida cosentina, si presenta in via Popilia e rivela che avrebbe dovuto uccidere due persone perché davano fastidio alla malavita organizzata. «Campanaro e Trazza, quest'ultimo doveva essere ammazzato da un soggetto del Tirreno cosentino», ma in nessuno dei due casi le cose sono andate per come immaginato dalla 'ndrangheta di Cosenza. Montemurro fa ritrovare anche le armi che a suo dire sarebbero dovuto servire per compiere il duplice delitto. E così riempie fogli A4 nei 180 giorni previsti dalle norme previste per "saltare il fosso" ed entrare nel programma di protezione.

Nel momento in cui era vicino al clan degli italiani, nello stesso orbitavano, oltre ad Ettore Lanzino, capo indiscusso, anche gente come «Adolfo D'Ambrosio, Rinaldo Gentile, Michele e Umberto Di Puppo». E ancora: «Io mi occupavo di estorsioni nei locali della movida. A Cosenza c'erano in quel periodo diversi gruppi ma la "bacinella" era comune, una parte dei proventi andava nella "bacinella" per pagare gli avvocati e una parte alle famiglie dei detenuti. Un periodo andavo da Adolfo D'Ambrosio a consegnare una busta piena di soldi nascosta in un giornale, poi era lui che li distribuiva ai suoi».

Dell'esistenza della "bacinella" Montemurro ne avrebbe parlato anche con Rango e con gli altri italiani. Nella "cassa comune", ha aggiunto il pentito, sarebbero stati versati anche «i proventi dello spaccio di droga ma di questo settore non mi sono mai occupato ma davo la possibilità ad alcuni soggetti di spacciare nei vari locali». Sul fronte dei rapporti e della gestione degli eventi, il collaboratore ha anche detto che quando ci fu il concerto di Zucchero a Cosenza, oltre a decidere il numero di bodyguard e il prezzo del biglietto, «chiedemmo anche 50 biglietti per darli ai figli di chi faceva parte dei gruppi».

L'agenzia di buttafuori «riscuoteva le estorsioni anche a Natale, Pasqua e Ferragosto ma se nei mesi normali la quota che dovevano versare i proprietari dei locali era di circa 3mila euro, nelle festività si arrivava anche al doppio della cifra. Solo noi potevamo gestire i buttafuori, imponevamo i numeri delle persone che dovevano controllare il locale. Abbiamo sbaragliato la concorrenza con le varie società a noi riconducibili, come quella dei fratelli Caputo, ma eravamo sempre noi che gestivamo tutto. Ho fatto queste cose dal 2007 al 2015».

Gli italiani, secondo quanto raccontato da Montemurro, si sarebbero visti a volte «allo sfascio Lanzino-Casella, gestito da Umile Lanzino e Franco Casella. Entrambi mi comunicavano le cose da fare, facevano da tramite agli altri menzionati prima, ma in quegli incontri c'erano Ettore Lanzino, Rinaldo Gentile, Adolfo D'Ambrosio e anche Mario Gatto».

Il pm Corrado Cubellotti ha poi elencato una serie di nomi: «Mario Piromallo? No, non lo conosco. Adolfo D'Ambrosio? Non mi ricordo in che occasione l'ho conosciuto, ma era uno dei reggenti in mancanza del capo. Massimo D'Ambrosio? Lavorava all'epoca al bar del fratello, anche con una ditta di rifiuti. A qualche appuntamento c'era pure lui. Quando mancava Adolfo, parlavamo con lui di estorsioni e droga, di come fosse la situazione in quel momento. Con lui mi rapportavo anche se il comune di Rende dava problemi per l'organizzazione degli eventi e diceva che se la sarebbe vista lui con i dipendenti. Ivan Montualdista? Lavorava sia per Adolfo che per Massimo, insieme a Montualdista c'erano altri due ragazzi, tra cui Giuseppe Midulla. A Ivan dicevo "devo parlare con il commercialista", che era Adolfo D'Ambrosio, gli incontri erano finalizzati alla gestione degli eventi e altro. Midulla? All'inizio faceva i caffè al bar di D'Ambrosio ma a me sembrava che fosse qualcosa in più. Ad esempio, distrusse il locale su via Rossini affinché noi prendessimo la sicurezza notturna del bar. Ma è una mia deduzione il fatto del suo coinvolgimento». Sempre ritornando su Franco Casella ha spiegato di non saper dire il motivo per il quale gli italiani si riunivano da lui ma ha ribadito che era «presente agli incontri e so che aveva un ristorante, ma non ricordo la zona».

Poi il pm è passato a Roberto Porcaro: «L'ho conosciuto quando era ai domiciliari con il braccialetto elettronico. Iniziò facendo l'autista a Cicero e poi si spostò con Patitucci. Rango disse che anche Porcaro doveva essere a conoscenza delle dinamiche criminali ma Patitucci era il capo. Conosco anche Antonio Abruzzese detto "Strusciatappine", mentre con Luigi Abbruzzese "Banana" parlai poco prima di collaborare, ci vedemmo al parco Nicholas Green, e mi disse che da quel momento in poi se la sarebbe vista. "Se hai qualsiasi problema chiama me che risolvo io". Conosco pure Marco Abbruzzese, era insieme al fratello quel giorno che parlammo. So che si occupava di droga. Antonio Abruzzese il cognato di Luigi e Marco? Non ricordo ora. Franco Abbruzzese? Il cantante, so che cantava», ha sottolineato il pentito. «Leonardo Bevilacqua? Avevamo avuto anche una discussione in un locale, era nel luogo dove fu ucciso Antonio Taranto. Cosimo Bevilacqua? Andavamo spesso a casa sua, dopo l'arresto di Rango era lui il reggente. Antonio Illuminato? Non so chi sia. Giuseppe Bartucci? Aveva i pezzi di ricambio a Zumpano. Secondo me era vicino alla criminalità cosentina, da lui si recavano sempre Mario Gatto e Adolfo D'Ambrosio».

L'esame è poi continuato con Agostino Briguori: «Detto Berlusconi. Aveva un locale nelle zone del Tirreno cosentino ma con lui non abbiamo mai avuto problemi. Oltre al cerchio ristretto di Cetraro, non l'ho mai visto parlare con qualcuno di Cosenza. Per me era un "faccendiere" dei Muto, di cui ho conosciuto bene solo Gigino (Luigi, figlio del boss Franco, ndr). Damiano Carelli? Il figlio di Sante Carelli, quest'ultimo era uno dei boss di Corigliano Schiavonea. Damiano aveva un'azienda. Non so se avesse rapporti con gli italiani. Andrea Reda? Lo conosco perché aveva un locale a Cerisano, lo conosco per le macchinette. Solo per questo. So che era socio con Carlo Drago, a lui l'ho visto poche volte nella mia vita. Fabrizio Provenzano? So che aveva aperto con Mario Gatto una discoteca a Cosenza ma la gestiva un prestanome. Aveva comunque un ruolo importante». Infine, una domanda su Franco Presta: «So chi è ma non l'ho mai conosciuto, conobbi il figlio ma poi morì. Era il reggente della zona Nord Calabria».

Il controesame

L'avvocato Nicola Carratelli ha iniziato il controesame. «Massimo e Adolfo D'Ambrosio? Avevano fatto la festa di Principe, ovvero un evento in campagna elettorale in favore di Sandro Principe. Queste cose le ho dichiarate nel 2019 in un verbale». Il penalista è passato alla posizione di Giuseppe Bartucci: «Mi sono recato un sacco di volte da lui». Ma l'avvocato ha fatto notare che nelle carte, le forze dell'ordine non hanno mai fatto menzione di un suo ingresso nell'azienda dell'imputato. «Cosa facevano i Bartucci? Se il cavallo di ritorno non andava a buon fine, portavano le auto da lui per smontarle e farle sparire. Andavamo con Giuseppe Esposito, lì c'era un ufficio». Sempre l'avvocato ha mostrato una pianta dello stabile con un'organizzazione diversa che non prevedeva questa stanza citata dal pentito.

Secondo controesame dell'avvocato Amelia Ferrari che ha fatto emergere come il testimone sia stato condannato in primo grado per diffamazione ai danni di un carabiniere. «Russo ritiene di essere stato diffamato in quanto avevo dichiarato che lui insieme ad altri suoi colleghi lavoravano per conto degli italiani "scissionisti", in un locale della movida. Con il mio avvocato abbiamo presentato appello avverso alla condanna pecuniaria di 900 euro». Il penalista Valerio Murgano ha fatto rilevare invece che il nome di Massimo D'Ambrosio nei verbali del 2015 non è presente ma il pentito ne avrebbe parlato solo nel 2019. «Ma io ne ho parlato, avevo anche il numero di telefono e mi chiese di far lavorare il figlio negli stadi». La difesa di Massimo D'Ambrosio a quel punto ha chiesto l'acquisizione dei tabulati telefonici per smentire quanto dichiarato da Montemurro.

L'avvocato Belcastro e il collega Belvedere, difensori di Franco Casella, hanno incalzato il collaboratore, arrivando alla conclusione che in riferimento alle riunioni che si sarebbero svolte allo sfascio di Lanzino e Casella, lui stesso non ha partecipato: «Una volta ero con Rango e lo avvisai che saremmo dovuti andare via perché stavano arrivando i carabinieri, salii due gradini e lo chiamai per dirgli questa cosa». L'avvocato Fiorella Bozzarello ha battuto la pista della mancata affiliazione alla 'ndrangheta: «Non sono mai stato battezzato, me lo avevano proposto in tanti. Anche Esposito, ma non so che dote avesse. Ribadisco che non ero associato». Anche in questa circostanza l'avvocato ha messo in chiaro il fatto che nei verbali del 2015 il pentito non ha mai fatto il nome di Carmine Caputo: «Ricordo che veniva utilizzato per fare risse e una volta andò con Esposito e Patitucci verso Vibo per parlare del Cosenza calcio che non voleva darci la security nello stadio».

L'intervento dell'avvocato Luca Acciardi è servito a scandagliare altri argomenti, come il reale rapporto di conoscenza con Patitucci, ma soprattutto di evidenziare come un truffatore non avrebbe mai potuto commettere due omicidi di un certo tipo. E qui c'è stato uno scambio dialettico acceso tanto che il presidente Ciarcia ha chiesto di non alzare i toni. Poi Montemurro ha specificato una cosa su Bartucci: «Io ho detto che secondo me era vicino alla criminalità». Infine, l'avvocato Cristian Cristiano per la posizione di Midulla: «Non ho detto che ha fatto l'estorsione ho dichiarato oggi che in base a una mia deduzione fu mandato a fare una rissa nel bar di via Rossini».

Le difese hanno chiesto di sentire ai sensi dell'ex art. 195 del codice di procedura penale alcuni testimoni in riferimento alle dichiarazioni rese da Montemurro. Due intende sentirli l'avvocato Bozzarello e una l'avvocato Vincenzo Guglielmo Belvedere.

La "maledizione" di Pulicanò

Sembra esserci una "maledizione" intorno all'esame testimoniale di Mattia Pulicanò. Anche oggi non è stato possibile sentirlo. Dal luogo in cui si trovava, attraverso il collegamento Teams, non era possibile far sentire l'audio agli imputati. Già nel processo "Bianco e Nero", l'ex spacciatore di Montalto e Lattarico era stato dichiarato irreperibile ma come spiegato in una lettera a Cosenza Channel, l'ex collaboratore di giustizia, uscito dal programma di protezione da mesi, non aveva avuto indicazioni sulla sede in cui si sarebbe dovuto recare per testimoniare contro la 'ndrangheta cosentina.