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giovedì 5 settembre 2024 | 13:15
Cronaca

La lettera - Accusata di essere una scafista, l’attivista curda Maysoon Majidi dal carcere di Reggio: «Ancora non so perché mi hanno arrestata» - Notizie

Nella lunga lettera pubblicata da Il Manifesto, la 28enne racconta le persecuzioni in Iran e il difficile viaggio per raggiungere l'Italia: «Entrava l'acqua nella barca e bisognava svuotarla con i secchi». L'arrivo e l'incontro con i poliziotti: «Gli ho chiesto di aiutarci»

di Redazione Cronaca

Maysoon Majidi

Scrive dal carcere di Reggio Calabria, dov'è detenuta con l'accusa di essere una scafista. Una lunga lettera di Maysoon Majidi, attivista curdo-iraniana di 28 anni, che è stata pubblicata questa mattina da Il Manifesto. Righe in cui la giovane, sbarcata in Italia il 31 dicembre scorso, racconta le sue sue attività e il suo impegno a favore delle donne e dei diritti dei rifugiati che le sono costati le minacce e le persecuzioni da parte del regime iraniano. Da qui la scelta di fuggire, insieme al fratello, prima in Turchia grazie anche a dei documenti falsi e poi in Italia.

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La traversata è costata tantissimo, racconta: «Quasi 50mila euro. La mia famiglia ha dovuto vendere la macchina e la casa per recuperare questi soldi». Il 27 dicembre la partenza dal porto di Izmir verso le coste italiane. Un viaggio difficile, che Maysoon racconta nel dettaglio: «La barca aveva tre camere piccole e un salone. Le donne e i bambini erano in una stanza e una cabina era per la famiglia (…). Gli uomini, la maggior parte dei quali erano afgani, stavano nel salone. C’erano tre bagni, uno per noi che si è rotto il primo giorno ed era fuori uso; (…) Nell’urgenza di andare in bagno dovevamo usare i sacchetti di plastica e poi buttarli fuori. A causa della situazione terribile, si vomitava spesso. Il motore della barca si rompeva continuamente (…). Si è rotta anche la pompa e l’acqua entrava in barca; i ragazzi dovevano svuotarla con i cestini che scaricavano fuori».

A bordo dell'imbarcazione si registrano anche momenti di forte tensione: «Una donna, che è stata sopra tutto il tempo, maltrattava tutti, ha cominciato a sgridarmi. Io ho reagito a parole. Piano piano tutti hanno cominciato a urlare. Un uomo ha cercato di calmarmi e mi ha chiesto di sedermi su un pezzo di legno in fondo alla barca». 

Il 31 dicembre, finalmente, si vede terra. I migranti, tra cui la stessa attivista curda insieme a suo fratello, sbarcano a Crotone. «Non c’eravamo ancora allontanati, quando ho sentito un rumore da dietro! Ho visto un’ombra dietro agli alberi! Appena ho chiamato gli altri, sono usciti i poliziotti, mi sono spaventata vedendoli, perché pensavo che ci picchiassero (come i poliziotti bulgari) e per quello ho subito detto che eravamo rifugiati: «Aiutateci!». Sono diventati tanti. Prima ci hanno chiesto di mostrare cosa portassimo nei nostri zaini e poi ci hanno perquisito».

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«Dopo ci hanno trasferiti in un parcheggio scoperto - prosegue il racconto -. Ci siamo aggregati agli altri passeggeri che erano arrivati prima di noi. Abbiamo fatto la coda per farci fotografare e per la registrazione dei nostri dati sensibili. Hanno distribuito acqua e biscotti. Mi sono seduta in un angolo con mio fratello. Il poliziotto e il mediatore mi hanno chiesto chi guidasse la barca. Ho risposto: «Non lo so». (…) Il mediatore ha ripetuto la domanda: «Chi comandava sulla barca?» (…) Ho risposto: «Non so». Sono andati via. Poco dopo, ci hanno chiesto di salire su un bus bianco. (…) Avevo i piedi gonfi e le scarpe sporche e bagnate. Le ho tolte e lavate. Poi sono andata fuori a sedermi. (…) A quel punto sono venuti ad arrestarmi. Non riesco ancora a capire il perché», si conclude la lettera.

Maysoon Majidi è stata ristretta dapprima nel carcere di Castrovillari e poi in quello di Reggio Calabria. Attualmente è sotto processo a Crotone. Del suo caso si sono occupate diverse associazioni e anche organizzazioni internazionali come Amnesty International.