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lunedì 17 giugno 2024 | 21:00
Cronaca

L’incontro - Malagiustizia, a Belvedere Marittimo un convegno per parlare del caso Marco Sorbara - Notizie

VIDEO | L'ex consigliere regionale della Valle D'Aosta di origini reggine fu arrestato nel gennaio 2019 con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, ma i giudici di secondo grado, dopo quattro anni di processi, l'hanno assolto con formula piena 

di Francesca  Lagatta

Incarcerato per 214 giorni con l'accusa di favorire le 'ndrine infiltratesi al nord, umiliato, picchiato dagli altri detenuti e poi assolto con formula piena, «il fatto non sussiste», perché riconosciuto innocente dai giudici del secondo grado giudizio e dagli ermellini della Suprema Corte di Cassazione, che respingono il ricorso della procura. Sembra la storia di un film drammatico degno di Oscar e invece è la vicenda reale di Marco Sorbara, 57 anni, ex consigliere regionale della Val D'Aosta di origini reggine. La sua storia è stata raccontata nel corso di un convegno, moderato dal giornalista Luigi Bruzzano, che si è svolto al Museo del Mare di Belvedere Marittimo e rientra nei progetti della "Settimana della legalità". All'evento, inoltre, hanno preso parte tra gli altri il sindaco Vincenzo Cascini, la vicesindaca Francesca Impieri e il consigliere regionale della Calabria e presidente della commissione della commissione consiliare contro il fenomeno della 'ndrangheta, della corruzione e dell'illegalità diffusa, Pietro Molinaro.

Il caso che fa discutere

Marco Sorbara, all'epoca dei fatti assessore al comune di Aosta e consigliere regionale rieletto, viene arrestato e condotto in carcere una mattina del gennaio 2019. L'accusa è concorso esterno in associazione mafiosa e la misura cautelare si sarebbe resa necessaria per la «pericolosità» dell'indagato, visti e considerati i suoi stretti rapporti con due potenti cosche calabresi che hanno messo radici al nord. L'accusa, però, stride con la storia personale e politica di Sorbara, che respinge ogni imputazione e si dichiara innocente ad ogni fase dell'inchiesta. Tutto inutile. Sorbara, sospeso dai ruoli istituzionali, passa oltre sette mesi nel carcere di Biella, i primi giorni in isolamento, poi viene trasferito nella sua dimora, dove sconta gli arresti domiciliari per altri 695 giorni. Per tutto questo tempo, porta i segni della violenza che i detenuti gli hanno inflitto secondo le leggi carcerarie interne, a cui non si sfugge, e continua a chiedersi se i suoi famigliari gli vogliano ancora bene. La pena, forse, più dolorosa di tutte. Ma i suoi cari, che lo conoscono meglio di qualsiasi magistrato, non solo continuano ad amarlo e a sostenerlo nella sua battaglia per la verità, ma diventano la sua forza, la sua unica ragione di vita, ed è a loro che pensa Sorbara quando a un certo punto della storia gli affiora il pensiero di farla finita e mettere un punto all'agonia.

La condanna e l'assoluzione

In primo grado Sorbara viene condannato a dieci anni di carcere. Una delle prove schiaccianti, secondo i giudici che emettono la sentenza, è che l'imputato abbia partecipato a un matrimonio a Reggio Calabria a cui avevano preso parte anche i presunti esponenti di 'ndragheta che lui avrebbe poi favorito in Val D'Aosta. Le accuse erano false. Ci sono voluti quattro anni di processi e di sofferenze per ristabilire la verità e cioè che Sorbara è innocente e non ha favorito alcun affare della mafia. Lo ha stabilito una sentenza dei giudici di secondo grado e anche quelli della Corte di Cassazione, che il 23 gennaio 2023 dichiarano inammissibile il ricorso della procura e rendono il verdetto definitivo.

La voglia di raccontare

Sorbara può finalmente ricominciare la sua vita da uomo libero e onesto, ma quelle accuse infamanti, le botte in carcere, il tritacarne mediatico, gli hanno lasciato nel corpo e nella mente un segno indelebile. Ai polsi oggi porta numerosi braccialetti per nascondere l'immagine delle manette. Ed è per questo che l'ex consigliere regionale ha deciso di girare l'Italia, andando anche nelle scuole, per raccontare la sua vicenda e chiedere che gli arresti siano effettuati con maggiore criterio: «Prima di togliere la libertà ad un uomo - dice ai nostri microfoni - bisogna pensarci una, due, mille volte, bisogna pensare che dietro a quel nome e cognome c'è una famiglia, c'è una vita, c'è un papà».

La cultura del perdono

Quel che più colpisce della vicenda di Sorbara, è che nelle sue parole non si avverte mai la rabbia di un uomo incarcerato ingiustamente. Anzi, l'ex politico diffonde la cultura del perdono, lo dice nei suoi incontri e lo dice anche ai ragazzi delle scuole, che incontra regolarmente. E, soprattutto, dice loro di continuare a credere nella giustizia, perché l'errore di pochi non deve mettere in discussione l'operato di tanti magistrati scrupolosi e delle forze dell'ordine. «Sì, io credo nella giustizia perché i tre gradi di giudizio hanno detto che Marco Sorbara è una brava persona - dice ancora -. Ho trovato dei giudici, delle forze dell'ordine che hanno letto i miei atti e hanno visto che non c'era nulla e alla fine han detto che Sorbara non era colpevole. Io continuo a dire che la differenza la fanno le persone e ci sono giudici che fanno bene il loro lavoro, ci sono giornalisti che fanno bene il loro lavoro, così come le forze dell'ordine. Oggi vado a parlare ai ragazzi, vado a dire loro di studiare e fare sacrifici, di stare attenti di avere empatia e di rispettare le regole». Perché la sua sofferenza non sia vana.