Il fondale sabbioso viene alimentato dal moto delle onde e affiora, come una spiaggetta, sul molo di ponente, all’ombra del faro verde. Un’immagine tanto suggestiva quanto impressionante (specie se associata all’imponenza delle grandi petroliere ormeggiate a poche decine di metri) che restituisce la sofferenza di una delle infrastrutture più importanti della costa tirrenica calabrese: il porto di Vibo Marina. La corrente, qui, gioca brutti scherzi, muove la sabbia erosa dalle spiagge libere e dai lidi e col tempo la conduce, aggirando i frangiflutti, sotto il braccio che protegge l’attracco delle navi; erode, sempre la corrente, lo stesso molo, quanto mai bisognevole di interventi di manutenzione e messa in sicurezza.

Il personale del porto lavora alacremente: Capitaneria, tecnici ed operai della Meridionale petroli, gli ormeggiatori. C’è un’ordinata frenesia, tutti indossano i dispositivi di sicurezza e si rispettano le norme per la tutela della salute sul lavoro. In salute, però, non è l’infrastruttura stessa. «Guarda, quei numeri sullo scafo stanno ad indicare per quanti metri la nave è sotto l’acqua… Questa nave arriva fino a cinque metri giù… E lì invece si è creata una spiaggia». Sono poche decine di metri davvero. La scena viene descritta da Mino De Pinto, imprenditore turistico, attivista politico e ormeggiatore.

Il porto è molte cose. È turismo d’élite e diportistica, ma anche pesca e commercio: non solo petroliere, dunque. Da qui si muovono, per attraversare gli oceani e raggiungere gli Stati Uniti o il Medio Oriente, anche le grandi navi che trasportano i poderosi macchinari costruiti dalle maestranze della vicina zona industriale. Qualcuno in passato aveva anche proposto di adeguarlo all’attracco delle grandi navi da crociera: il problema, a conti fatti, quello è: il fondale basso. E più tempo passa, più si abbassa. Più tempo passa, più la patologia si cronicizza.