Stavolta l’inquinamento non c’entra, la colpa è dell’infiorescenza dei pini. L’Arpacal e il Wwf confermano: nessun pericolo per i bagnanti
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C’è una bella differenza tra il Mar Giallo e il mare giallo. Il primo è una porzione dell’Oceano pacifico; il secondo è quello che in questi giorni si sta palesando davanti agli occhi di residenti e turisti in molte località balneari della Calabria. Estese macchie di un giallo accesso che, fortunatamente, non hanno nulla a che vedere con l’inquinamento, ma rovinano comunque la giornata ai bagnanti, visto che un tuffo in quella patina è davvero poco invitante. Si tratta di alte concentrazioni di polline di pino che una volta in mare si aggrega in grandi chiazze.
«Per quanto spiacevole alla vista e al tatto - ha spiegato Emilio Cellini, direttore del Centro regionale strategia marina dell’Arpacal - il fenomeno non è collegabile a inquinamento, ma alla struttura microscopica del polline di pino, che presenta due sacche aeree (tecnicamente dette vescicole anemofile) utilizzate per favorire lo spostamento in aria. Proprio per le sue dimensioni (è uno dei pollini più grandi) il polline delle pinacee si aggrega ed essendo idrofobo galleggia sulla superficie del mare. Il gioco dei venti e l’azione delle correnti contribuisce all’aggregazione dei granelli in grosse chiazze, segnalate sotto costa in tutto il Mar Ionio e Tirreno, che possono essere scambiate per sversamenti di altra natura o incorporare al loro interno altri oggetti galleggianti».
Un'ulteriore conferma che si tratti di polline arriva anche dal Wwf. Il responsabile scientifico regionale dell’associazione ambientalista, Pino Paolillo, ha inviato una immagine ripresa col suo microscopio (foto) dalla quale «si notano i granuli pollinici di alberi del genere Pinus». Paolillo, dunque, conferma quanto già descritto dall’Arpacal. Ma, allo stesso tempo, non si esime dal fare un’ironica, quanto amara, constatazione: «Quando si tratta di polline, come già in anni passati, siamo i primi ad ammetterlo senza difficoltà. Il problema è che, quando si tratta di liquami in mare, c’è chi li vuole spacciare per acqua di colonia».