Un tuffo contro le pale

No all’eolico nel Golfo di Squillace, protesta lungo la costa ionica il 29 settembre: ci saranno anche 15 sindaci

Il coordinamento Controvento lancia l'iniziativa sulla fascia costiera interessata dall'opera. Previsti raduni a Squillace, Cropani e Guardavalle

di Luana  Costa
23 settembre 2024
11:53

Un tuffo contro le pale. È questa l'iniziativa lanciata dal coordinamento Controvento in collaborazione con le amministrazioni comunali aderenti per esprimere contrarietà alla realizzazione del megaimpianto eolico off-shore nel Golfo di Squillace attraverso l'organizzazione di presidi lungo la costa ionica, area interessata dall'opera, nella giornata del 29 settembre.

Sindaci presenti

Appuntamento alle ore 10 con raduni previsti a Cropani marina, a Guardavalle marina e a Squillace lido. All'iniziativa hanno aderito finora il sindaco di Petrizzi Giulio Santopolo, il sindaco di Cinquefrondi e consigliere della città metropolitana di Reggio Calabria Michele Conía, il sindaco di Agnana Calabra Giuseppe Cusato, il sindaco di Polia Luca Alessandro, il sindaco di Sant’Agata del Bianco Domenico Stranieri, il sindaco di Serrata Angelo D’Angelis, il sindaco di Villanovaforru (Sud Sardegna) Maurizio Onnis, il sindaco di Stalettì Mario Gentile, il sindaco di Roccaforte del Greco Domenico Penna, il sindaco di Polistena Michele Tripodi, il sindaco di Ostana Giacomo Lombardo, il sindaco di Camini Giuseppe Alfarano, il sindaco di Cassinetta di Lugagnano e consigliere Metropolitano della città di Milano Domenico Finiguerra, il sindaco di Cardeto Daniela Arfuso, il sindaco di Aiello Calabro Luca Lepore.


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Il documento

Nel documento diffuso dal coordinamento si legge che «la transizione energetica si è avviata in Italia impedendo alle comunità locali da noi rappresentate di incidere sull’ubicazione degli impianti per la produzione di energia rinnovabile e su altri aspetti connessi, in grado di pregiudicare i già fragili equilibri dell’ambiente di insediamento delle nostre popolazioni.

La nostra osservazione comune è che ci troviamo nello stesso tempo di fronte a un sintomo e a una causa di aggravamento della crisi del sistema democratico. Per scongiurare la sindrome nimby, da tanti commentatori evocata e demonizzata quando danno conto delle diffuse proteste territoriali, la transizione energetica deve essere giusta, incardinata dentro percorsi politici e democratici e non può essere attuata in palese violazione del dettato costituzionale.

Grazie al rinnovato articolo 9 della Carta fondamentale, del patto fondativo che dal 1948 unisce gli italiani, la Repubblica tutela il paesaggio, gli ecosistemi e la biodiversità anche nell’interesse delle future generazioni. Nessun principio costituzionale può essere sacrificato per realizzarne un altro o, men che meno, per perseguire un contingente prioritario interesse nazionale: i singoli valori espressi e tutelati dalle disposizioni della Costituzione sono tutti assoluti e dello stesso rango, all’interno di un impianto complessivo orientato a promuovere la dignità della persona umana nel suo contesto ecologico e sociale.

Le leggi vigenti in materia energetica invece puntano a massimizzare i guadagni di un settore economico privato a scapito tra l’altro dei soldi versati al fisco dai cittadini. Noi sindaci chiediamo, interpretando la volontà del tessuto sociale dei luoghi da noi amministrati, che la produzione e la distribuzione dell’energia ridiventino un servizio pubblico essenziale: solo così la produzione energetica da fonti rinnovabili non sarà più insostenibile e non aggredirà il patrio suolo (con la sua funzione di fondamentale regolatore climatico), gli ecosistemi, la biodiversità e il paesaggio.

Solo enti pubblici collettivi, rappresentando l’interesse generale, potranno dedicarsi all’indispensabile passaggio dalle fonti fossili alle rinnovabili con interventi finalizzati alla riduzione degli sprechi energetici e all’utilizzazione in via primaria di suoli già consumati in tutta la nazione per l’ubicazione degli impianti (9000 chilometri quadrati secondo l’ ISPRA, una superficie grande quanto l’Umbria occupata da infrastrutture dismesse, capannoni agricoli e industriali, cave e miniere in disuso etc, grazie alla quale si potrebbero abbondantemente superare gli 80 Giga Watt da raggiungere entro il 2030).

I territori sono prima di tutto gli ambienti vitali di chi li abita, e non possono trasformarsi in zone di sacrificio assegnate alla monocultura energetica: devono essere vissuti dagli allevatori, dagli agricoltori, dagli apicoltori, da chi costruisce giorno per giorno un rapporto spirituale ed emotivo con il paesaggio, dagli operatori turistici, dai pescatori, insomma da tutte le categorie che noi rappresentiamo.

La crisi ecologica deve essere un’occasione per passare a una fase più avanzata della civiltà umana, per uscire tutti insieme da un dramma con un cambiamento di rotta, non un’ulteriore opportunità di guadagno per pochi nel solco già tracciato da un’economia anti ecologica, votata alla distruzione della vita e della bellezza del mondo».

Giornalista
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