È passato un mese dal giorno dello sversamento di percolato dalla discarica di località Pipino a Scala Coeli. Un mese che per chi vive e lavora nell’area interessata ha cambiato tutto. Un mese di veleni, e non solo quelli che il liquido maleodorante fuoriuscito dall’impianto ha trascinato con sé nei corsi d’acqua della valle del Nicà, ma anche quelli che in tutte queste settimane non hanno smesso di scorrere tra coloro che, volenti o nolenti, si sono ritrovati a recitare la parte degli attori protagonisti della vicenda. 

Leggi anche

Allarmismo o allarme?

Da una parte la Regione Calabria e la società proprietaria della discarica, la Bieco, che dalla loro assicurano che quanto doveva essere fatto è stato fatto e anche nei tempi giusti. Dall’altra associazioni ambientaliste, un paio di amministratori e qualche rappresentante istituzionale controcorrente che ha sollevato e continua a sollevare dubbi sulle operazioni messe in campo. 

Leggi anche

Nel territorio compreso tra il Basso Ionio cosentino e il Crotonese quanto accaduto il 22 giugno scorso ha scatenato una vera e propria guerra, condotta anche a colpi di post e commenti su Facebook, tra chi invita a non generare «inutili allarmismi» – anche per il bene della stagione turistica in corso – e chi invece si ostina a voler tenere alta l’attenzione. Accuse di allarmismo contro grida di allarme, insomma. 

Il sopralluogo del 10 luglio

Nei giorni scorsi, il 10 luglio, subito dopo il tavolo tecnico convocato d’urgenza – ma a distanza di due settimane dallo sversamento – in Cittadella, il direttore generale del Dipartimento Ambiente della Regione, Salvatore Siviglia, ha guidato un sopralluogo sul posto, a cui hanno preso parte il direttore scientifico dell’Arpacal Michelangelo Iannone, l’amministratore unico della Bieco Eugenio Pulignano e i sindaci dell’area. Anzi, alcuni sindaci dell’area. Quelli di Cariati, Crucoli, Terravecchia e Scala Coeli che nell’occasione hanno dichiarato di essere impegnati in un lavoro di squadra «per la soluzione celere ed efficace del problema purtroppo verificatosi». 

Leggi anche

«Non vi è alcun pericolo per nessuno, così come ribadito attraverso la revoca delle ordinanze sindacali di divieto di balneazione. Non serve quindi alcun allarmismo, ma solo impegno ecologico diffuso, quotidiano e senza sconti per nessuno», hanno aggiunto. Una di quelle ordinanze riguarda il Comune di Calopezzati, il cui sindaco Antonello Giudiceandrea non era tra i presenti al sopralluogo (ma lo era al tavolo tecnico regionale). Così come il primo cittadino di Campana Agostino Chiarello, che in un post sulla sua pagina Facebook, la sera del sopralluogo, così ha inteso fugare i dubbi in merito alla sua assenza: «A scanso di equivoci, visto che in parecchi mi state chiedendo perché non ci fossi, non sono stato né informato né invitato: fatevi una domanda e datevi una risposta».

E Legambiente continua a dare battaglia

Tra quelli che le domande continuano a farle, ma non a sé stessi, c’è Nicola Abruzzese, presidente del circolo Legambiente Nicà. Che dal giorno dello sversamento – che lui ha segnalato all’autorità mettendo in moto la macchina dei controlli e il conseguente sequestro della discarica – è perennemente sul posto a documentare, anche con foto e video, lo stato dell’arte. 

Appena due giorni fa il torrente Patia appariva ancora pieno di chiazze. «Dicono che le operazioni di aspirazione del percolato sono terminate», commenta in chiave polemica mentre mostra le acque decisamente poco limpide che scorrono in mezzo alla vegetazione. 

Leggi anche

Terminati sono, infatti, i dieci giorni comunicati dalla Bieco nel corso del tavolo tecnico in Regione come necessari per la prima fase delle operazioni. A cui comunque, ammesso che questa prima fase si possa considerare conclusa con successo – anche se le immagini catturate da Abruzzese qualche perplessità la suscitano – dovranno seguire quelle successive di caratterizzazione del sito e bonifica. Pure per capire i danni eventuali che la permanenza del percolato – confinato per giorni in invasi temporanei che verosimilmente non ne hanno impedito la penetrazione nelle falde – ha causato al territorio

La vicenda, insomma, non è ancora conclusa e dopo un mese molti interrogativi restano aperti. Perché 15mila metri cubi di liquido inquinante, finiti da una discarica dritti nei corsi d'acqua che servono ad abbeverare animali e a irrigare coltivazioni in una biovalle, non sono proprio cosa da niente e interrogativi ne sollevano più d'uno. E assodato il disastro ambientale, serve ora valutarne – e comunicarne – l'entità.