Al pressing del circolo Nicà per la pubblicazione dei risultati delle analisi si affianca quello dei vertici nazionali e regionali dell'associazione. I presidenti Ciafani e Parretta pretendono trasparenza e attaccano la Bieco: «La prassi di minimizzare i problemi e le responsabilità è un film già visto»
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I dubbi resistono. Nonostante le rassicurazioni che, da sole, non bastano. Non dopo quello che è successo. Sul caso della discarica di Pipino, a Scala Coeli, Legambiente non smette di battere il ferro nonostante non sia più esattamente caldo. Dal giorno dello sversamento di percolato nei corsi d'acqua della valle è passato un mese e mezzo ma ci sono ancora diversi tasselli della vicenda da mettere al proprio posto. E mentre il circolo Nicà, guidato da Nicola Abruzzese, tornato ancora una volta sul luogo del disastro chiede che vengano resi pubblici i risultati delle analisi effettuate, anche i vertici nazionali e regionali dell’associazione fanno pressing affinché sia fatta finalmente chiarezza sui punti ancora oscuri.
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I due presidenti Stefano Ciafani e Anna Parretta rilanciano e danno forza ai numerosi appelli alla trasparenza del circolo Nicà. Senza risparmiare un duro attacco ai titolari della discarica. «La prassi di minimizzare i problemi e le responsabilità quando si verificano impatti rilevanti sull’ambiente e vi sono ingenti interessi economici in gioco è, purtroppo, un film già visto. L’intenzione di minimizzare è, infatti, la sensazione immediata che suscita l’ultimo comunicato stampa della Bieco s.r.l., proprietaria dell’impianto di località “Pipino” a Scala Coeli, dove il 22 giugno 2023, nel torrente Capoferro si è verificato un consistente sversamento di percolato di discarica, un liquido che trae prevalentemente origine dall'infiltrazione di acqua nella massa dei rifiuti o dalla decomposizione degli stessi. Il percolato prodotto dalla discarica di rifiuti speciali non pericolosi di località Pipino nel Comune di Scala Coeli è un refluo con un tenore più o meno elevato di inquinanti organici e inorganici, derivanti dai processi biologici e fisico-chimici».
Pesa, su tutta la vicenda, il silenzio delle istituzioni e della Bieco. Un silenzio rotto soltanto dal tavolo tecnico convocato «con urgenza» dal dipartimento Ambiente della Regione Calabria due settimane dopo lo sversamento e dal comunicato diffuso qualche giorno fa dalla società, quello a cui fanno riferimento Ciafani e Parretta e in cui si rassicura che le operazioni necessarie sono state portate a termine secondo modalità e tempi previsti e che le analisi effettuate nel luogo del disastro hanno dato «risultati positivi». Della natura di queste analisi e di quali siano i risultati, però, nulla è ancora stato detto.
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Asportate 498 cisterne di percolato
«Vogliamo ricordare e ribadire che il percolato, dopo aver invaso il torrente Patia/Cacciadebiti miscelandosi con le acque sorgive, è finito nel fiume Nicà – sottolineano i rappresentanti di Legambiente – e di conseguenza nel mar Ionio. Successivamente, ad opera della società proprietaria dell’impianto, il percolato è stato arginato attraverso la realizzazione di bacini artificiali ed aspirato per essere smaltito in impianti autorizzati sia nel territorio regionale che extraregionale. Tale operazione si è protratta nel corso di molti giorni anche per la presenza, lungo la rete idrografica, di alcune sorgenti naturali che hanno alimentato i bacini artificiali».
Un totale di 15mila metri cubi, quantità dichiarata dal dirigente del dipartimento Ambiente Salvatore Siviglia e dalla società, come ricordano Ciafani e Parretta. «Secondo quanto risulta dalla stessa relazione tecnica redatta dalla Bieco s.r.l., pervenuta al circolo Nicà di Legambiente a seguito di richiesta di accesso agli atti, dal 22.06.2023 al 13.07.2023, risultano essere state asportate 498 cisterne da 30 mc per un totale di circa 14.940 mc di rifiuti liquidi avviati ad impianti autorizzati. Solo a partire dal 3 luglio scorso sono iniziate le attività di esportazione dei fanghi secchi depositatisi nei bacini apparentemente ancora in corso. Sui luoghi sono stati eseguiti diversi campionamenti da parte dell’Arpacal di cui non si conoscono, allo stato, i risultati».
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Aspettando i risultati delle analisi
Cosa è successo nel tempo in cui il percolato è rimasto nei bacini artificiali creati per evitare che se ne andasse in giro? Quanto è penetrato nelle falde? Sono queste le domande alle quali servono delle risposte. «Restiamo in attesa – affermano i presidenti nazionale e regionale di Legambiente – dei risultati dei doverosi monitoraggi sul possibile inquinamento di acque e suolo a seguito dello sversamento di percolato dalla discarica e del suo permanere per oltre venti giorni nella valle del Nicà per scongiurare la presenza di idrocarburi, metalli pesanti ed altre sostanze inquinanti ed affinché vengano eseguite le relative corrette attività di bonifica. Inoltre dalla succitata relazione della società Bieco s.r.l. emerge che, sotto la vigilanza dell’Autorità di P.G. che ha sottoposto a sequestro la discarica, sono state eseguite attività di ripristino della coltre d’argilla (un metro) nell’area limitrofa alla fuoriuscita ed il successivo ripristino dell’integrità del telo impermeabile in HDPE soprastante l’argilla».
E qui Ciafani e Parretta fanno un passo indietro, ricordando gli esposti presentati tra dicembre 2022 e lo scorso gennaio dal circolo Nicà, che aveva segnalato alle autorità competenti «la presenza all’interno della discarica di un ingente quantitativo di liquido, al punto che i rifiuti abbancati sembravano galleggiare».
«Orbene – affermano –, la doppia barriera del telo in HPDE e dell’argilla dovrebbe garantire la perfetta impermeabilizzazione della discarica ed evitare qualsiasi tipo di sversamento. A Scala Coeli si sarebbe quindi verificato un evento decisamente raro che suscita molti fondati interrogativi sulla gestione della discarica».
I dubbi di Legambiente
Cosa sia accaduto davvero e quali siano le cause lo accerteranno le indagini della magistratura, che Legambiente dichiara di seguire «con fiducia chiedendo che venga verificata nei fatti occorsi, anche in base alla legge n. 68/2015 che ha inserito i cosiddetti ecoreati nel codice penale, la sussistenza degli eventuali estremi dei reati di inquinamento ambientale e di disastro ambientale o di altri reati rinvenibili e che vengano perseguiti i responsabili».
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Che però qualcosa sia accaduto è pacifico. E la gente del posto ha il diritto di sapere quale sia lo stato dei luoghi. «Ciò che è certo è che la gravità di quanto verificatosi a Scala Coeli è evidente a tutti – rimarcano Ciafani e Parretta –. I proprietari della discarica invece di rivolgere fantomatiche quanto palesemente infondate accuse di “terrorismo e aggressione mediatica” a chi fa informazione trasparente e seria sulla vicenda farebbero bene a chiedere scusa al territorio, agli agricoltori ed a tutti gli altri cittadini, per quanto avvenuto nella BioValle del Nicà».
Il riferimento è, ancora una volta, al contenuto della nota della società, in cui si puntava il dito sui «continui tentativi di fomentare dubbi sulla incessante opera realizzata da Bieco e dagli enti preposti nonché di diffondere nella popolazione preoccupazioni ingiustificate e allarmanti». Dopo un evento del genere, però, certe preoccupazioni sono più che legittime e sta adesso alla stessa Bieco e più ancora alla Regione fugare quei «dubbi» attraverso la pubblicazione dei risultati delle analisi.
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Perché al di là della querelle con l’azienda, in questa vicenda le istituzioni hanno – e sono chiamate a fare – la propria parte. «In attesa dell’esito delle indagini in corso, Legambiente chiede e pretende doverose risposte da parte degli enti interessati, in primo luogo dal Dipartimento Territorio e Tutela dell’Ambiente della Regione Calabria a cui abbiamo fatto una serie di segnalazioni», dicono Ciafani e Parretta.
Concludendo con un appello di respiro più ampio: «Sulla gestione dei rifiuti, la Regione Calabria deve, con determinazione, coraggio e coerenza con le proprie stesse normative, invertire la rotta a partire dalla chiusura della discarica di Scala Coeli dove l’evidenza dell’accaduto sta dimostrando a tutti le conseguenze ambientali dei comportamenti errati e degli allarmi inascoltati di Legambiente».