«È come se questa parte del paese la sentissi camminare verso valle». «C’è paura, eccome se c’è paura». «È stata una notte da incubo». Le voci sono sommesse, come in attesa. La vita di San Calogero, paese adagiato tra il promontorio del Poro e la Piana di Gioia Tauro, appare sospesa, come quella parte della piazza che resiste al vuoto lasciato dalla frana di località Lirda. Già quattro anni fa uno smottamento aveva provocato danni e paura.

«Stavolta però la frana è stata di dimensioni apocalittiche», spiega il sindaco Giuseppe Maruca. Che la terra scivolasse via a San Calogero, la comunità se n’era accorta già nella serata. Convocato il Centro operativo comunale, allertati la Protezione civile, i Vigili del fuoco ed i carabinieri, l’apice del dissesto si è toccato nella notte. Nel baratro sprofondano migliaia di metri cubi di asfalto, quelli della provinciale che s’innesta sulla Statale 18 e che conduce verso Vibo Valentia, a Nord, e Rosarno, verso Sud: guardrail in equilibrio sul vuoto, tubature spezzate, acqua che sgorga in tanti rivoli che creano pozze, complessi rurali trasformati in ruderi, lampioni piegati tra le macerie.

Un’abitazione è stata evacuata. Un grande esercizio commerciale di materiali edili ha sospeso l’attività ed è come se lentamente fosse fagocitato dalla gola della frana. «Ma ci sono quindici immobili che stiamo monitorando – spiega il primo cittadino – e se i geologi ci diranno che la terra si muove ancora e che lo smottamento non si è fermato dovranno essere evacuati. Senza considerare che la principale via d’accesso al paese ormai non esiste più e l’altra, quella che ci collega alla vicina Rombiolo, è in condizioni che definire precarie è un eufemismo. Arrivare qui diventa un’avventura».

Sullo smottamento del 2018 i lavori, che dovevano essere terminati già a gennaio, erano prossimi alla conclusione. «Questo disastro – dice ancora il sindaco – ha però vanificato tutto quello che era stato fatto per mitigare il rischio». Insomma, è stato come curare il sintomo di una malattia che invece progrediva, senza che ci si accorgesse della reale natura della patologia. Ci vorrà tempo per ritornare alla normalità, serviranno anni e, soprattutto, progetti e soldi. «Chiedo che le istituzioni preposte – chiosa Maruca – non ci abbandonino. Non servono soltanto impegni, serve un’attenzione costante e fattiva».

Osservando località Lirda, tornano alla mente le immagini della frana che nel febbraio del 2010 sconvolse Maierato e fecero il giro del mondo. Allora come oggi, fortunatamente, niente vittime, ma le ferite sul territorio sono rimaste vive. Oggi come allora, è come se le viscere della terra si fossero liquefatte ed improvvisamente ciò che stava sopra sia venuto giù, franando per decine e decine di metri. Si attiva l’Ufficio territoriale del governo guidato dal prefetto Roberta Lulli, viene coinvolta la Protezione civile nazionale, si governa l’emergenza.

Siamo, però, nella provincia di Vibo Valentia e qui l’emergenza è normalità. Ci furono i disastri alluvionali del 2006 che sconvolsero Longobardi, Vibo Marina, Bivona e Porto Salvo. Ci fu Maierato, nel 2010. E poi Drapia, Vazzano, le Preserre e l’Angitolano negli anni successivi. Nel nuovo millennio, lo sfasciume pendulo tratteggiato da Giustino Fortunato continua e rimanda alla genetica di un territorio che, quanto a sicurezza idrogeologica e governo ambientale ed infrastrutturale, sembra ancora fermo al tempo in cui questa era provincia di Catanzaro. Ferma quasi al 1951, quando Nardodipace fu cancellata da un’alluvione che comportò la quasi totale ricostruzione sei chilometri più a monte. Qui dove la mitigazione del rischio è un problema che ci si pone al consumarsi dei disastri, salvo poi rapidamente dimenticarsene.