Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, lancia l’allarme: «L’attuale crisi climatica non potrà che intensificare gli eventi estremi»
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Rischi naturali, prevenzione, memoria. Su queste basi si è fondato l’intervento di Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), in occasione della 39esima Giornata dell’Ambiente organizzata anche quest’anno dall’Accademia Nazionale dei Lincei a Roma, di cui Doglioni è membro. «L’Italia – dice all’ansa - è troppo fragile per quanto riguarda i rischi naturali, e soffre di memoria corta. Nel nostro Paese – aggiunge - mancano la cultura della prevenzione e le risorse per creare cittadini più consapevoli. E questo a tutti i livelli: bisogna partire dalle campagne informative già nelle scuole».
Il tema del rischio
Il convegno ha al centro proprio il rapporto tra memoria e oblio, cioè la nostra tendenza a dimenticare gli eventi peggiori e quindi a non parlare di rischi se non quando accade qualcosa. «In tema di rischio la memoria è fondamentale, perché gli eventi accaduti in passato prima o poi accadranno di nuovo», ricorda Carlo Doglioni: «dobbiamo essere coscienti della ciclicità della natura».
Anche perché gli eventi naturali calamitosi hanno ricadute sociali ed economiche rilevantissime: solo per le ricostruzioni post-terremoto, dal 1968 ad oggi l’Italia ha già speso quasi 200 miliardi di euro, oltre alle perdite umane, culturali e di qualità della vita nelle aree colpite dai terremoti.
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Clisi climatica ed eventi estremi
Un costo destinato a crescere a causa del cambiamento climatico: «L’attuale crisi climatica non potrà che intensificare gli eventi estremi – afferma il presidente dell’Ingv – e renderli sempre più frequenti».
L’Italia necessita, più di altri paesi, di adottare metodiche in grado di rendere il territorio più resiliente, ma molti fenomeni sono ancora poco compresi, come sottolinea Doglioni: «Studiamo tanto i pianeti diversi dalla Terra, mentre del nostro sappiamo ancora troppo poco; mi chiedo se sia perché guardare in alto, verso lo spazio, ci faccia pensare al paradiso – conclude il ricercatore – mentre studiare ciò che abbiamo sotto i piedi ci ricorda di più l’inferno».