VIDEO | L’ospedale è nato 15 anni fa ed è impegnato tutto l’anno a soccorrere, curare e rilasciare in mare gli esemplari in difficoltà
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«Un’opera meritoria arricchita dal valore del volontariato che soprattutto adesso, che siamo distratti da altro, ci ricorda che anche le tartarughe marine vanno salvate», ha sottolineato Antonino Reitano, in viaggio in Calabria da Catania. Un pensiero condiviso anche da Marco Basso, proveniente da Padova e in vacanza in Calabria ogni anno, che definisce questa esperienza «toccante ed emozionante» ed «encomiabile» l'attività svolta per salvare questi animali marini». Dalla Sicilia al Veneto con tutta la famiglia, ma anche dal Piemonte, dalla Lombardia, dalla Campania, dalla Puglia e persino dalla Francia e dall’Argentina, arrivano in Calabria e si fermano a Brancaleone per conoscere Ippolita, la più grande, e vicino a lei Agata e la vivace e giovanissima Bambi. Con Palù, Pedro, Lumiere e Lia, anche loro state salvate e adesso sono in convalescenza nelle vasche del centro di recupero tartarughe marine di Brancaleone, sul litorale ionico di Reggio Calabria.
Una missione per l'Ambiente
Dal 2006 ad oggi il centro, il primo ad essere nato nella regione, ha salvato oltre settecento esemplari di Caretta Caretta, la specie in transito tra il mar Ionio e il mar Tirreno, che predilige le spiagge di questo tratto costiero per la nidificazione e che ogni anno è sempre più a rischio. Per questo, in corrispondenza dell’imbocco dello Stretto tra Reggio e Messina, quindici anni fa è nato a Brancaleone questo ospedale. Per i primi due anni è stato inserito nella rete europea Tartanet nell’ambito del programma Life Natura della Commissione Europea, e poi, dal 2009, è gestito dai volontari della onlus Blue Conservancy che si autofinanzia per non disperdere la preziosa esperienza e non chiudere l’ospedale. Il soccorso alle Caretta Caretta non può fermarsi, infatti, per l’assenza di fondi pubblici.
Circa 50 esemplari salvati all’anno
«Ogni anno riceviamo circa 150-200 segnalazioni di esemplari in difficoltà, spiaggiati o in mare, da parte della Guardia costiera, di bagnanti o diportisti e, raramente, di pescatori. Di queste solo un terzo riguardano animali ancora vivi, che noi possiamo prendere in carico, purtroppo. La buona notizia è che la percentuale di quelle che ricoveriamo in questo centro e che guariscono raggiunge il 90-95%, ossia circa una cinquantina all’anno. Dunque quasi tutte sopravvivono e tornano in mare», ha spiegato Filippo Armonio, presidente dell’associazione Blue Conservancy onlus e responsabile del centro di Recupero Tartarughe Marine di Brancaleone con la tecnica veterinaria Tania Il Grande.
L’autofinanziamento
«La nostra attività abbraccia tutto l’anno. Tutto inizia con il salvataggio in mare o in spiaggia e il ricovero. Tra essi e il rilascio in mare vi sono tutta una serie di attività: gli accertamenti come le radiografie, gli esami del sangue e altre indagini diagnostiche, gli interventi chirurgici per asportare ami e plastica dall’esofago e dallo stomaco, le terapie. Tutto ha un costo in termini di carburante per i recuperi, di farmaci, di pesce per l'alimentazione e di spese per la gestione dello stesso centro. Da anni ci autofinanziamo con raccolte fondi promosse on line, con le adozioni e con le offerte dei visitatori del centro. Qui anche chi lavora, come i professionisti veterinari che ci danno una mano, lo fa con spirito di abnegazione e a titolo di volontariato», ha spiegato ancora Filippo Armonio.
Appena guarite le tartarughe marine vengono rilasciate in mare. Ma, purtroppo, continuano ad essere esposte ai pericoli della pesca e dell’inquinamento, ai quali ogni anno tanti esemplari non sopravvivono.
Le cause dell’alto rischio di estinzione
«Il principale problema è rappresentato dalla pesca di tonno e pescespada. L’esca, in particolare la sardina, posta all’amo attira anche le tartarughe marine. Quando vengono pescate, non avendo alcun valore commerciale, vengono ributtate in mare. Vengono ritrovate a distanza di due-tre mesi spiaggiate con un amo in esofago o nell’intestino. Più tempo passa, più è difficile intervenire e garantirne la sopravvivenza.
L’attività del centro è anche una finestra sullo stato del mare rispetto alla presenza di plastica. «Non disponiamo di dati precisi, ma in base dalla nostra esperienza possiamo affermare che quando abbiamo iniziato il fenomeno era molto meno ricorrente. Adesso almeno una tartaruga su cinque ingerisce plastica scambiandola per medusa oppure resta intrappolate da buste o corde», ha spiegato ancora Filippo Armonio.
La Caretta Caretta
È un rettile, perfettamente adattato alla vita marina, ricoperto da un robusto carapace e con zampe diventate pinne, che respira con i polmoni e ha una grande capacità di economizzare l’ossigeno e rimanere in apnea. La specie di tartaruga marina Caretta Caretta è la più comune nel Mediterraneo. Può arrivare a pesare fino a 180 chilogrammi ed essere lunga anche 110 centimetri. Può arrivare a vivere 50 anni.
Oggi è una specie in via d’estinzione e dunque protetta. Per questa ragione il loro recupero può essere eseguito solo da centri autorizzati come quello di Brancaleone che ha competenza nel Sud della Calabria, in corrispondenza di tutto il comprensorio reggino, e nella Sicilia Orientale.
Ogni anno, nel solo Mediterraneo, ne vengono catturate accidentalmente dalla pesca oltre 250mila. Di queste, 50mila muoiono subito, e le altre restano alla deriva agonizzanti, anche per un lunghissimo tempo prima di morire. Nel tratto ionico di Reggio Calabria il dato è di 500 tartarughe marine morte all’anno.
La nidificazione nel Reggino
Le acque del Mediterraneo occidentale sono abbondantemente frequentate da questa specie. Eppure per la nidificazione si concentra nella zona orientale, principalmente in Grecia, Turchia, Cipro, Libia e, in misura minore, in Tunisia e Israele. La specie, però, nidifica anche in Italia che costituisce il limite nord-occidentale del Mediterraneo, con un dato che assume una dimensione marginale con quaranta nidi all’anno, secondo Caretta Calabria Conservation onlus. Di questi circa il 60% si concentra lungo la costa ionica della Calabria, in provincia di Reggio.
Il volontariato ambientale
Un’attività che gradualmente riprende ad accogliere giovani volontari da tutta Italia. Vengono dalle vicine Reggio Calabria e Catanzaro ma anche da Roma, Milano e da Padova. «Prima della pandemia siamo arrivati ad avere anche 120/140 volontari all’anno. Lo scorso anno solo qualcuno. Quest’anno siamo in ripresa con una trentina e speriamo di crescere ancora», ha sottolineato del centro, Filippo Armonio.
«La salvaguardia di questa specie mi sta molto a cuore. Le Caretta Caretta sono sempre più in pericolo e per questo ho deciso di dare il mio contributo personale. È stata una bella esperienza che il prossimo anno certamente ripeterò e che consiglio a tutti», ha commentato Lorenzo Basso, giovane padovano in vacanza in Calabria con la famiglia e che ha deciso di dedicare del tempo al centro.
Con lui presta attività di volontariato anche Alessandra De Franco dalla vicina Reggio Calabria. «È un’esperienza intensa stare vicino a questi animali che normalmente non vedi e poter fare qualcosa per loro, dedicare a loro un po' del nostro tempo».
Molto motivata è anche la quasi trentenne milanese, Giorgia Agus, qui dall’inizio di luglio e con il programma di fermarsi fino alla fine di agosto. «Ciò che più mi piace è che si tratta di un’azione diretta di salvataggio. Noi le prendiamo, le curiamo e le rimettiamo in mare. È un’esperienza molto formativa che ci consente di vivere da vicino tutte le fasi. Poi c’è l’azione a lungo termine quando il centro apre ai visitatori per sensibilizzare sulle problematiche legate alla pesca e all’inquinamento dei nostri mari».