Escavatori e cingolati sono i veri padroni del litorale dal Pollino allo Stretto. Neanche l'invito dell'associazione "Caretta Calabria Conservation" a evitare i mezzi pesanti per tutelare le specie protette ha sortito effetto. E tra i lavoratori spuntano tanti contratti irregolari
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Sulla riviera dei Cedri o in quella dei Gelsomini, sulla costa degli Dei o in quella degli Aranci: cambia la posizione ma il destino rimane il medesimo. Tutte (o quasi) le spiagge della nostra regione, nel periodo che va dalla metà di maggio alla metà del mese successivo, sono prese in ostaggio da cantieri e legioni di mezzi pesanti, a servizio di aziende private e enti pubblici, sbarcate sugli arenili per la consueta “pulizia e sistemazione” delle spiagge in sfregio a tutte le raccomandazioni e le regole che, almeno sulla carta, ne vieterebbero l’utilizzo. Una consuetudine “tafazziana” così radicata, soprattutto sul versante jonico, che neanche le multe stabilite per la prima volta dalla Regione sembrano averne invertito la tendenza e che finisce per devastare le stesse spiagge che, a lavori finiti, restano profondamente modificate, con sbancamenti insensati ed estirpazione della vegetazione primaria che aumenta il rischio erosione.
«La formula tradizionale “sun, sea and send” è un punto di forza della regione da implementare in un’ottica naturalistico-ambientale» scrivono gli uffici della cittadella nel Piano turistico regionale approvato dalla Giunta nell’aprile del 2023: una raccomandazione (sostanzialmente caduta nel vuoto) di basilare rispetto dell’ambiente che fa il paio con gli studi sui flussi turistici che la Calabria riesce ad attrarre (il 15% dei visitatori, dicono le statistiche, sbarca da noi proprio per godere delle nostre meraviglie naturalistiche, mare in testa) ma che fa a pugni con la quotidianità della “stagione delle ruspe”.
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Il documento inascoltato
Un paio di mesi fa, come ogni primavera ormai da quasi 10 anni, il dipartimento Territorio e Tutela dell’ambiente ha inviato una circolare a tutti i comuni costieri della Calabria in cui si ribadisce «di non utilizzare i mezzi pesanti per la pulizia delle spiagge allo scopo di tutelare specie protette come Caretta Caretta e Charadrius alexandrinus nidificanti entrambi lungo le coste della Calabria ed entrambe protette». Nel documento, rimasto purtroppo praticamente inascoltato, si sottolinea «il danno prodotto dal continuo passaggio dei mezzi pesanti sugli habitat costieri, in quanto tale pratica determina la totale rimozione delle comunità vegetali» ribadendo, soprattutto per le tante aree protette presenti sul territorio regionale l’assoluto divieto dell’utilizzo di ruspe e scavatori per interventi di «sbancamento e spianamento che possano alterare il contorno delle dune».
Le associazioni
Al documento della Regione ha fatto eco, come ogni anno e, purtroppo, con i medesimi scarsi risultati, anche l’appello dell’associazione “Caretta Calabria Conservation” che ha scritto a tutti i sindaci dei paesi rivieraschi rinnovando l’invito ad «evitare operazioni di pulizia meccanica o spianamento» vista «l’importanza conservazionistica della specie, protetta da leggi e regolamenti nazionali e comunitari». Un monito che pare non avere attecchito, considerato che le ruspe sono regolarmente presenti in molti dei 20 paesi che quest’anno si fregiano della Bandiera Blu e che si sono affacciate, storia di pochi giorni fa, anche sul litorale di Brancaleone, che delle tartarughe marine è considerato il centro più importante in Regione.
E se l’anno scorso la Calabria ha fatto registrare numeri record per i nidi (più di novanta quelli scoperti e protetti, alcuni dei quali trovati a pochi metri dai segni dei mezzi cingolati utilizzati per la costruzione dei lidi), nel 2024 il primo nido è stato rinvenuto pochi giorni fa nella Locride e almeno altre tre femmine in cerca del punto giusto dove deporre le uova restano monitorate dai volontari dell’associazione che incrociano le dita sperando che gli animali si dirigano verso un fazzoletto di spiaggia risparmiato dai cingoli.
Le multe
Fino all’estate del 2023, le regole fissate dalla Regione erano state ampiamente ignorate anche a causa del fatto che accanto alle regole stesse, nessuno avesse previsto le sanzioni da applicare. Sanata la “dimenticanza” della politica regionale con la quantificazione delle multe, e grazie ai controlli diventati un po’ più intensi, le sanzioni sono iniziate ad arrivare. Si contano a decine quelle recapitate fino a questo momento, con sanzioni pesanti comprese tra i 1500 e i 15mila euro: multe che hanno fatto “vittime” in tutte le cinque province calabresi (con maggiore intensità sul litorale reggino) colpendo sia aziende private sulla spiaggia per lo spianamento in vista delle costruzioni degli stabilimenti, sia enti pubblici, che le ruspe in spiaggia le hanno utilizzate per “lisciare” l’arenile nella speranza di attrarre un flusso maggiore di turisti.
Cantieri balneari
E se i cantieri per la costruzione degli stabilimenti continuano a spuntare come funghi sulle coste calabresi, trasformando irrimediabilmente intere porzioni di paesaggio, le irregolarità all’interno degli stessi cantieri non sono finite. Nella maggior parte delle aree in cu si lavora per la costruzione di bar e lidi in vista dell’estate infatti, capita spesso che le basilari regole di sicurezza sul lavoro e dignità contrattuale siano completamente ignorate: «Certo non bisogna generalizzare – dice a LaC News24 il segretario regionale della Fillea Cgil Simone Celebre – ci sono tantissime aziende serie ma ce ne sono altre che le regole non sanno neanche cosa siano. Abbiamo scoperto che alcune di queste aziende che operano sulle spiagge calabresi obbligano i lavoratori a turni di 9-10 ore e senza rispetto per le norme di sicurezza. E ancora più grave, alcune di queste non applicano agli operai il contratto previsto per gli edili, ma quello previsto per i lavoratori del comparto metalmeccanico che è meno oneroso perché non prevede, a carico delle aziende, gli oneri di formazione obbligatoria e quelli per la prevenzione contro gli infortuni. Queste situazioni si verificano perché da anni non ci sono assunzioni all’Ispettorato del lavoro e di conseguenza, per mancanza di personale, i controlli si fanno solo a campione. E in un settore così in salute fare i controlli a campione, significa non controllare».