Il paventato raddoppio del depuratore di Coda di Volpe non va giù ai residenti delle aree circostanti l’impianto. Sia quelle ricadenti nel comune di Rende, sia quelle dei territori di Rose e Montalto Uffugo. Riuniti nell’Associazione Crocevia e nel comitato Ro.Mo.Re, hanno manifestato davanti ai cancelli dello stabilimento di proprietà del Consorzio Valle Crati.

Risorse disponibili per l'ampliamento

La gestione è affidata alla Geko finita nel mirino della Procura di Cosenza nell’ambito dell’operazione Cloaca Maxima, scattata all’alba dello scorso 2 febbraio 2018. Dalle carte dell’inchiesta emergono infrazioni sistematiche nel trattamento delle acque reflue, più volte scaricate nel Crati senza la necessaria bonifica. Un danno ambientale incalcolabile al quale la magistratura ha cercato di porre un freno. La struttura però, continua a smaltire con fatica i fanghi provenienti dai comuni consorziati. Per questo necessita di un intervento di miglioramento e di ampliamento. Ci sarebbero anche le risorse disponibili, circa 35 milioni di euro, in parte garantite da un finanziamento pubblico a valere sul Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, deliberato dal Cipe, in parte a carico della Geko nell’ambito di un project financing. Con questi soldi si dovranno costruire nuove vasche di depurazione, ma anche le condotte necessarie a collettare le utenze dei nuovi comuni entrati a far parte del cosiddetto agglomerato Cosenza-Rende.

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Acque reflue provenienti di 28 comuni

Nel complesso si passerà dagli attuali 19 a 28 municipi le cui acque nere giungeranno a Coda di Volpe per essere ripulite prima di finire nel Crati. L’idea però spaventa la popolazione, stremata da oltre vent’anni di convivenza con cattivi odori e fumi nocivi. Vent’anni scanditi dall’inquinamento provocato dal vecchio inceneritore, oggi chiuso, dalle emissioni della Legnochimica e, adesso, da quelle derivanti dal depuratore. Ma ci sono altre questioni aperte: il comune di Rende, lamentano i cittadini, è venuto meno all’impegno assunto, con due diverse delibere, di destinare l’area a parco urbano e, successivamente, a zona agricola. Inoltre l’impianto sarebbe stato costruito senza rispettare le distanze minime dai corsi d’acqua, il Crati ed il torrente Settimo, per come prescritto dalla legge. Infine bisogna dire che a Coda di Volpe non arrivano soltanto le acque nere, ma spesso vi confluiscono oli vegetali e minerali, scarti industriali e persino resti di macellazione. Tutti residui scaricati abusivamente nelle fogne, di cui è difficile individuare l’origine e che il depuratore non è in grado di smaltire.