FOTO | L’azienda attiva su quell’area, nell'area industriale di Porto Salvo, è chiusa dal 2009. 100mila metri quadrati che contenevano rifiuti di ogni genere: ecoballe, materiale proveniente da demolizione, eternit. L'inchiesta della Procura, le analisi dell'Arpacal e la necessità di mettere in sicurezza e bonificare la zona
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Costituita nel lontano 1963, la “Compagnia generale resine sud spa” (Cgr) ha cessato di esistere nel gennaio 2009. L’azienda aveva sede proprio sull’area sequestrata questa mattina dalla Procura e dai Carabinieri, che stanno procedendo contro ignoti per i reati di gestione di rifiuti non autorizzata e inquinamento ambientale. Le quote societarie della Cgr erano ripartite al 50% tra Pierluigi Biagiotti e la società “Fin-In”, con sede legale a Catanzaro, di cui è amministratore unico Francesco Mirigliani, attuale proprietario dell’area in virtù dello scioglimento della Cgr per liquidazione.
Un’area enorme, circa 100mila metri quadrati, ed anche abbandonata, in cui è stato rinvenuto di tutto. Dagli atti della polizia giudiziaria confluiti nel decreto di sequestro firmato dal procuratore Camillo Falvo e dal sostituto Filomena Aliberti, si apprende come sull’area sorgano sette manufatti «pericolanti ed in totale stato di abbandono e fatiscenza», al pari della «degradata area circostante, infestata da folta vegetazione e presenza di svariati cumuli di rifiuti speciali di natura eterogenea»: materiale proveniente da demolizione, pannelli di eternit in disuso, pneumatici fuori uso, rifiuti ferrosi e tanto altro ancora di non facile individuazione, accatastati sul terreno.
Per la Procura, non vi è dubbio di essere davanti ad una situazione «pericolosa»: «Difatti - si apprende ancora - la condizione del sito depone per la sussistenza di un serio e potenziale pericolo di inquinamento delle matrici ambientali - suolo, sottosuolo e aria - sia a causa dell’infiltrazione degli agenti atmosferici e della conseguente formazione di percolato da rifiuto, sia in considerazione della possibile aerodispersione delle fibre di amianto contenute nei pannelli in fibrocemento abbandonati».
Ma altre sorprese le riservano anche i capannoni. Nella parte finale di uno di essi, quello più grande, «è stata riscontrata la presenza di numerose ecoballe (rifiuti compattati verosimilmente di origine urbana) e di altri cumuli di rifiuti di ardua classificazione, anche a causa del fatto che sono stati interessati di recente da un incendio», divampato nel 2018. Il sospetto degli inquirenti è che siamo di fronte ad «una gestione illecita di tali materiali, avvenuta in tempi non troppo remoti e/o ancora in atto, aspetti tutti da approfondire». Dopo l’incendio del 2018, l’area era già stata interessata da un sopralluogo dell’Arpacal.
Arpacal che in questi giorni è tornata insieme ai Vigili del fuoco. I tre tecnici incaricati hanno effettuato preliminarmente un esame radiometrico per appurare eventuale presenza di materiale radioattivo. Puntualmente ritrovato, tanto che si parla di «situazione piuttosto allarmante», dato che sul lato ovest dell’area la rilevazione ha restituito valori di radioattività «di gran lunga superiori alla norma».
I tecnici hanno sottolineato la necessità di un tempestivo intervento per «la messa in sicurezza e bonifica della zona, sulla quale dovranno essere eseguite opportune e specifiche scarificazioni e perforazioni, onde poi poter procedere all’individuazione ed alla caratterizzazione della fonte contaminante».
Nello specifico, scrivono i tecnici dell’Arpacal: «Le rivelazioni radiometriche di tipo campale presentano un sito in cui il livello di radioattività medio è in sintonia con il fondo radioattivo del territorio vibonese ad un metro di altezza dal suolo, tranne che in una zona definita come area calda, dal punto di vista radiologico. Nel sito è stata individuata una zona calda in cui dall’analisi spettrale risulta la presenza di radio 226 (226Ra) con un’attività importante su una superficie di circa 30 metri quadrati».
In ogni caso, dall’analisi di alcune situazioni, come le condizioni dell’asfalto, gli esperti sostengono che «non vi sia allo stato un rischio di aumento della componente dell’esposizione radiologica legata all’inalazione e/o ingestione di particolato atmosferico contaminato»; però, «non conoscendo la natura geometrica e il tipo di posa della sorgente individuata», nulla si può dire circa la «eventuale contaminazione della falda acquifera». Ma in definitiva, anche se si trattasse di «radionuclide naturale», andrebbe comunque trovata una soluzione di smaltimento diversa, perché la situazione, così com’è, «presenta un elevato rischio potenziale di contaminazione delle persone e della natura».