Sotto le acque cristalline del Mar Ionio calabrese, giacciono in silenzio tesori nascosti: relitti di navi che, durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, sono state inghiottite dal mare. Un secolo dopo, questi giganti di ferro raccontano storie di conflitti, naufragi e tempeste. Dopo innumerevoli immersioni e ore trascorse in decompressione tra le profondità, l'esploratore è riuscito a dare un nome al relitto che da molti anni destava curiosità nella comunità subacquea. “Melo", la nave passeggeri affondata nel 1917 e costruita nel 1887 nei cantieri britannici sul Tyne.  Il relitto giace a quasi 90 metri di profondità in assetto di navigazione, con la prua gravemente danneggiata dall’impatto con una mina austro-ungarica. Quasi tutta la nave è ancora ben visibile, dal timone all’elica, le stive, il cassero, le cucine e la sala macchine.

L'identificazione del relitto è stata possibile grazie a multiple immersioni e a un'attenta ricostruzione storica. Alpini ha condotto le prime immersioni in solitaria, mentre nelle successive è stato affiancato dai subacquei Eugenio Maria Longo e Alessandro Pagano, che ha scattato alcune fotografie del relitto. Il "Melo" ha navigato per anni nel Mediterraneo, trasportando sia passeggeri sia merci, dal Mar Nero al sud della Francia.

Come descriveresti la sensazione di identificare un relitto sconosciuto e raccontare la sua storia dopo un secolo dal suo affondamento?
«È una sensazione straordinaria poiché l'immersione fornisce le prove necessarie per confermare ciò che si sospettava dalla superficie. Spesso, i dettagli più piccoli sono quelli che permettono di identificare con certezza una nave. Il relitto rappresenta ciò che la nave è diventata dopo il naufragio, non ciò che la nave è stata. Capire quel che si sta guardando richiede un notevole sforzo: è fondamentale interpretare le condizioni del relitto e osservare come gli eventi che ne hanno causato l’affondamento abbiano cambiato per sempre la nave. Dopo oltre un secolo, il relitto evolve e si modifica, cambia. Una nave non muore mai, nemmeno sul fondo del mare. Continua a vivere rendendo la sua storia unica. Immergersi su questi pezzi di storia permette di raccontare non solo le vicissitudini della nave, ma anche quella del suo equipaggio, del suo armatore. I relitti sono il dispositivo per raccontare parte di una società che non esiste più».

Cosa significa scoprire un relitto?
«Questo è un punto fondamentale per chi fa ricerca. Scoprire per me significa riconoscere, dare un’identità a ciò che si osserva attraverso una documentata analisi storica e video-fotografica. Il relitto in questione ad esempio era già conosciuto da un pugno di validi subacquei che vi si erano immersi nel 2015 in collaborazione con Giovanni Rodà e Diving Megale Hellas: Gianni Escuriale, Monica Pignanelli e Marco Papperini che aveva scattato anche un paio di splendide fotografie. Durante le loro immersioni non erano riusciti a riconoscere di quale nave si trattasse. Mi hanno fatto un nome, ma in base alle fonti documentali che ho consultato quella nave si trova molto più al largo, a quasi 1500 metri di profondità. Quando mi sono confrontato sul ritrovamento con il fotografo, Marco Papperini, la sua emozione era palpabile, era contento che finalmente quella nave avesse un nome».

In cosa è consistito il tuo lavoro quindi?
«Il mio lavoro è stato quello di cercare in archivi la documentazione storica e i documenti utili a supportare la tesi di identificazione. Poi, come sempre è solo studiando e andando sott’acqua che emergono i dettagli e le informazioni necessarie a esprimere la propria idea. Il relitto l’ho misurato e confrontato con i dati dimensionali della nave forniti dal cantiere che l’aveva varata. Tra i vari documenti che ho rinvenuto vi è anche la testimonianza del capitano e altre informazioni relative a chi è stato imbarcato su quella nave negli anni. Durante un’immersione ho gettato lo sguardo in sala macchine alla ricerca di elementi utili a riconoscere l’apparato motore, sapevo che questo avrebbe potuto aiutarmi. 
Quando ci si immerge con la finalità di capire un relitto bisogna essere molto curiosi. Non bisogna scartare nessuna ipotesi, al contrario è necessario mettersi in gioco. Interpretare una nave affondata oltre un secolo fa non è semplice; eppure, con la giusta attenzione e un pizzico di fortuna prima o poi si inanellano gli elementi utili ad attribuire un nome a quel relitto».

Ci sono delle caratteristiche particolari o insolite dei relitti calabresi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale rispetto a quelli che hai trovato in altre parti del mondo?
«I relitti della Prima e Seconda Guerra Mondiale in Calabria presentano caratteristiche molto diverse a seconda della zona in cui giacciono. Nello Stretto di Messina, le forti correnti e la ricca vita marina rendono queste navi colorate e vibranti, nonostante la loro profondità. Al contrario, nella costa ionica, le diverse condizioni ambientali restituiscono relitti prevalentemente colonizzati da spugne, ostriche e grandi banchi di pesci. I relitti ionici risultano così più "nudi" e facili da riconoscere. Confrontando poi questo ecosistema con quelli a latitudine più settentrionale, in mari più freddi, come quelli del Nord o dell'Oceano Atlantico, le differenze si ampliano ulteriormente. La temperatura dell'acqua, la quantità di luce che filtra sul fondo e la diversa composizione biologica delle acque fanno cambiare radicalmente l’aspetto delle navi affondate».

Quali sono le principali difficoltà che hai incontrato esplorando i fondali dello Ionio rispetto ad altre zone del mondo?
«Le principali difficoltà del lavoro subacqueo nei mari della Calabria sono legate alla morfologia e alle condizioni ambientali. Spesso, il tempo limitato per immergersi influisce sulla riuscita delle operazioni e sul raggiungimento degli obiettivi prefissati. Talvolta le tracce sul fondo non corrispondono a ciò che si era immaginato di vedere. Qui, in Calabria, l’ambiente plasma tutto. Nulla resta, tutto cambia».

C’è un particolare relitto o sito d’immersione nei mari calabresi che ti ha colpito per la sua storia o bellezza?
«Tra i vari siti nei mari di Calabria che preferisco, ce ne sono diversi, sia sulla costa ionica, sia sulla costa tirrenica. I punti che mi hanno maggiormente affascinato sono due. Il primo è il relitto della motonave Viminale, situato a Palmi, a una profondità di 107 metri. Il secondo si trova nello Stretto di Messina: il relitto dell'Alvah, una nave bellissima affondata oltre un secolo fa vicino a Punta Pezzo, probabilmente una delle immersioni più spettacolari della zona.
Lo Ionio? Custodisce piccole gemme non accessibili a tutti, forse anche per questo è affascinante».

Quali sono i tuoi prossimi progetti o esplorazioni legati ai fondali calabresi? Hai già in mente qualche altro luogo da scoprire?
«L'obiettivo è studiare sempre meglio i fondali e scoprire nuovi spot per immersioni. Voglio ampliare le ricerche: non solo relitti quindi, ma anche valorizzare bellezze naturalistiche uniche di questi fondali. Bisogna far conoscere sempre più l’unicità di questo territorio. Ho un progetto: vorrei accompagnare subacquei da tutto il mondo sui fondali calabresi, ci vorrà tempo e determinazione».

Il mare di Calabria, con la sua natura misteriosa e ricca di segreti, continua a offrire nuove sfide agli esploratori come Alpini. Nonostante le difficoltà incontrate durante le immersioni in queste acque – dalle correnti imprevedibili alla scarsità di visibilità – l'esploratore subacqueo è determinato a segnalare altre storie nascoste. Il suo obiettivo non è solo la scoperta, ma anche la testimonianza di un passato che merita di essere conosciuto, protetto e tramandato.