Nelle carte dell’inchiesta sullo sversamento di percolato avvenuto il 22 giugno 2023 una serie di presunte anomalie nei lavori di ampliamento e nella gestione dell’impianto di località Case Pipino. Chi sono i 5 indagati
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Un tubo. «Non previsto in progetto e non autorizzato», si legge nelle carte della Procura di Castrovillari. Da qui sarebbe fuoriuscito il percolato che il 22 giugno 2023 dalla discarica per rifiuti speciali non pericolosi di Scala Coeli finiva nei corsi d’acqua della valle del Nicà.
Quindicimila metri cubi. Una quantità enorme «che confluiva – scrive il sostituto procuratore Luca Primicerio – all’interno dei Torrenti Patia - Capoferro e del Fiume Nicà e, dopo aver percorso 15 km, giungeva sino al Mar Jonio». Un evento da cui «derivava un’offesa alla pubblica incolumità, in ragione della rilevanza del fatto, per l’estensione della compromissione e per il numero di persone offese ed esposte a pericolo, nello specifico le popolazioni dei Comuni di Scala Coeli (Cs), Cariati (Cs) e Crucoli (Kr)».
L’accusa è di disastro ambientale in concorso e vede indagate cinque persone: Eugenio Pulignano, socio e amministratore della Bieco, la società proprietaria dell’impianto; i fratelli Natale e Salvatore Fuoco, soci (e il primo anche amministratore) della “Calcestruzzi Cariatese snc dei F.lli Fuoco G.N.S.”; Giuseppe Tomei, direttore dei lavori di ampliamento della discarica; Raffaele La Volla, amministratore unico della Tekta srl, impresa che ha partecipato ai lavori.
Sotto la lente della Procura la costruzione del secondo invaso – quello da cui appunto si è verificato lo sversamento – autorizzata a novembre 2019 dalla Regione Calabria. Secondo le risultanze investigative per realizzare l’opera era stato installato un tubo del diametro di 60 centimetri e lungo più di 60 metri che dal centro dell’invaso finiva all’esterno. Un tubo poi tombato «al di sotto dello strato di argilla e del telo di impermeabilizzazione». E da qui sarebbe passato il materiale inquinante.
Nei capi d’accusa viene rilevata una serie di anomalie nei lavori ma anche nella gestione dell’impianto che, secondo l’ipotesi della Procura, sarebbero alla base di quanto accaduto.
Il 15 giugno 2022, ricostruisce il sostituto procuratore, la Bieco chiese «una modifica non sostanziale all’originario progetto approvato con il provvedimento Via - Aia», modifica che la Regione Calabria approverà 15 giorni dopo e che prevedeva l’unificazione dei due lotti in cui era originariamente suddiviso il secondo invaso, «senza adeguare il calcolo della produzione mensile di percolato, e, conseguentemente, senza modulare il sistema di drenaggio e l’impianto di gestione, trattamento e stoccaggio del percolato del secondo invaso al fine di adeguarlo alla nuova configurazione richiesta ed alla maggiore quantità di tale rifiuto che sarebbe stata prodotta».
Non solo. Per l’accusa la Bieco avrebbe omesso di smaltire «ingenti quantitativi» di percolato presenti all’interno di questo secondo invaso che il giorno dello sversamento «erano certamente pari, quanto meno, a quelli riversatisi al suo esterno» contravvenendo, in questo modo, al decreto autorizzativo, nel quale «veniva prescritto che “la raccolta e l’allontanamento delle acque di percolamento, prodotte dalla nuova vasca della discarica, deve avvenire con modalità e frequenza tale da garantire la completa rimozione del percolato insistente al di sopra del sistema di impermeabilizzazione».
Il tubo incriminato sarebbe stato realizzato dalla società dei fratelli Fuoco mentre la Tekta, azienda con sede ad Afragola nel Napoletano amministrata da La Volla, avrebbe curato l’impermeabilizzazione artificiale del secondo invaso. A questo proposito, si legge nelle carte, che il telo di geomembrana utilizzato sarebbe stato ancorato «alla scarpata mediante picchettamento/ancoraggio praticato con tondino d’acciaio che ne provocava la lacerazione e pertanto infiltrazione» e che «da una lacerazione del telo, il percolato si infiltrava nella parte sottostante e, successivamente, attraversato il sistema barriera, per il tramite del tubo di cui sopra, non previsto dal progetto, si riversava all’esterno del secondo invaso, nei corpi idrici di cui sopra».
L’altro degli indagati, Tomei, avrebbe «in qualità di direttore dei lavori» concordato «con la proprietà e con l’impresa esecutrice l’installazione della tubazione, tombando la stessa sotto il telo in Hdpe posto a protezione dell’invaso ed omettendo di segnalare l’installazione della tubazione agli Enti preposti». Il 20 agosto 2022 avrebbe poi attestato in un verbale «la corretta esecuzione dei lavori per come previsto dalla progettazione/autorizzazione».
Un quadro, questo, che se dovesse essere confermato polverizzerebbe l’ipotesi dell’incidente e darebbe, al contrario, corpo ai dubbi e ai timori di associazioni e comitati locali, amministratori rompiscatole e semplici cittadini che ben prima dello sversamento di giugno 2023 con segnalazioni ed esposti avevano chiesto alle autorità preposte di fare chiarezza su presunte anomalie alla discarica di Scala Coeli.