Qualcuno, dalle parti di Scala Coeli, ha tirato un sospiro di sollievo. Perché è vero che al momento non ci sono sentenze né responsabili conclamati e che di sicuro, allo stato attuale, non c’è neanche il disastro ambientale che è per ora solo un’ipotesi su cui la Procura di Castrovillari dovrà fare le sue verifiche. È vero pure, però, che i riflettori si sono riaccesi su una vicenda che molti, dopo lo stillicidio di richieste e domande inevase, temevano fosse ormai destinata a finire nel dimenticatoio.

Nonostante le tante sollecitazioni e un tavolo tecnico convocato in Regione dal responsabile del Dipartimento Ambiente, Salvatore Siviglia, «d’urgenza» ma ben due settimane dopo lo sversamento di percolato dalla discarica di località Pipino, avvenuto il 22 giugno 2023.

Era il 6 luglio e quello stesso giorno ci sarebbe stata la manifestazione per chiedere l’immediata bonifica del territorio. Un giorno che Antonello Giudiceandrea, sindaco di Calopezzati, ricorda bene. Perché fu tra quelli “strappati” alla protesta in strada per convergere in Cittadella. E che fece notare come alcune cose non stavano andando come dovevano. «Già dalla riunione del tavolo tecnico, convocato dalla Regione nelle settimane seguenti all'incidente, avevamo evidenziato le discrasie di alcuni comportamenti rispetto alle prescrizioni dell'Aia – ricorda oggi –. Ora spetta alla magistratura verificare se ci sono state delle responsabilità ed eventualmente sanzionarle. Attendiamo fiduciosi».

Fu accesa la riunione in Cittadella. Perché ci fu chi contestò – a proposito di «discrasie» – l’avvio degli interventi di messa in sicurezza con 4 giorni di ritardo rispetto alle 24 ore successive all’evento previste dal Codice dell’Ambiente. Dal canto suo, la Bieco assicurò di essere passata all’azione quello stesso 22 giugno.

Disaccordi e contestazioni a parte, nessuno negò la gravità di quanto successo: 10mila metri cubi di percolato sversati subito, poi diventati 15mila per l’azione delle acque sorgive. Il piano d’azione licenziato durante l’incontro prevedeva questo: svuotamento degli invasi, caratterizzazione del sito, bonifica.

Non tutto, però, è andato così come avrebbe dovuto perché quell’iter non è mai arrivato a conclusione.

Tra coloro che furono costretti a disertare la manifestazione per partecipare al tavolo tecnico c’era anche il sindaco di Campana, Agostino Chiarello. Che oggi commenta così gli ultimi sviluppi della vicenda: «Pur rispettoso dell'attività di verifica giudiziaria e del principio di innocenza fino a sentenza contraria, non posso che essere sollevato dalla presenza dello Stato che andrà finalmente ad analizzare le anomalie che ho denunciato da subito, insieme a una buona fetta di popolazione del territorio, ma nel silenzio assordante di troppi che avevano gli strumenti per farsi ascoltare». Da subito in prima linea, oggi – dice – non ha nulla da rimproverarsi: «Mi hanno dato del catastrofista, del disfattista. Il primo dovere di un sindaco è la tutela del territorio e della salute pubblica: posso guardarmi allo specchio, altri non so».

Chi quel 6 luglio in strada riuscì a esserci furono invece gli attivisti delle Lampare. Che oggi parlano di «vittoria di Pirro». Che la Procura abbia acceso i riflettori è senz’altro un bene, ma qual è stato il prezzo pagato nel frattempo? «Sotto la lente ci sono dubbi che i comitati locali hanno sollevato da anni – dichiara il portavoce e consigliere comunale di Cariati Mimmo Formaro –. Quest’indagine parte da cose che denunciamo da tempo. È sicuramente un passo avanti importante ma ora attendiamo che i sindaci del territorio si costituiscano parte civile per chiedere la bonifica e l’eventuale risarcimento dei danni provocati». Danni che però, se davvero di disastro ambientale si è trattato – sottolinea – difficilmente saranno risarcibili per un’area ormai avvelenata. Ed ecco la vittoria di Pirro. «Sì, siamo soddisfatti della mossa della Procura. Ma se si accerterà quello che si teme bisognerà raccoglierne i cocci. E chi ha permesso che tutto questo succedesse dovrà prendersi le sue responsabilità».