Il vulnus sta proprio in questa massima di qualche anno fa: “In Calabria c’è un’assenza di cultura del dato”. Lo disse Leoluca Orlando nel 2011 in qualità di presidente per la “Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari”. Una frase che anche oggi può essere riferita ai dati mancanti sulle contaminazioni delle acque che l’istituto Ispra ha chiesto a tutte le regioni italiane. Perché la Calabria ha nuovamente declinato l’invito e non ha mandato nessuna documentazione per capire se e quanto siano inquinate le acque destinate al consumo umano. Le motivazioni, così come riportato questa mattina da “ilfattoquotidiano.it”, assomigliano al solito gioco dello scaricabarile. “Il monitoraggio non l’abbiamo fatto. Non possiamo finché la Regione non finisce il censimento di laghi, fiumi e acque sotterranee” hanno risposto i dirigenti dell’Arpacal contattati telefonicamente dalla redazione de “Il Fatto”. E alle rimostranze mosse dalla giornalista Ilaria Lonigro, tipo che in realtà è stato tutto classificato e catalogato, così come si evince dal rapporto di sintesi del Piano Tutela Acque della Regione Calabria. “Ma quello è vecchio”, hanno risposto. “Adesso la Regione deve censire di nuovo tutto. Ha affidato il censimento a un soggetto esterno, non a noi. Si chiama Sogesid”.

 

Insomma, nessuno vuole dire che tipo di acqua scorre nei rubinetti delle case dei calabresi. E, cosa magari ancora più grave, nessuno ci tiene a sapere se anche le acque che servono per irrigare i campi contengono o meno pesticidi. Praticamente questa notizia è la cartina al tornasole delle condotte poco trasparenti dell’Arpacal in tutti questi anni. L’affaire “Alaco” è, a buon diritto, la prova provata di tutto ciò. Che quel bacino, a cavallo tra le province di Catanzaro e Vibo Valentia e che serve ben 400mila cittadini, sia contaminato non è più un mistero, o quanto meno ci credono in molti. Negli anni le battaglie a favore della verità si sono moltiplicate, così come anche l’interesse dei media nazionali. C’è pure un’inchiesta giudiziaria in corso, denominata “Acqua Sporca”.

 

I dati sono stati rilevati tra il 2013 e il 2014 in 3747 punti di campionamento e, rispetto al biennio precedente, mostrano un aumento delle aree contaminate ma anche delle sostanze ritrovate: 365 molecole diverse, glifosate in testa. Dati rilevati in quelle regioni che hanno aderito al progetto dell’Ispra. Quindi, il sospetto è che per la Calabria i valori possono essere pure superiori alle media. O magari anche minori, perché no? Certo è che nessuno ne è a conoscenza. Il dubbio, purtroppo, logora i cittadini.