«Crediamo sia giunta l'ora di impedire che centinaia di milioni di metri cubi d'acqua di proprietà pubblica, vadano a finire a mare, mentre intere comunità ed il comparto agricolo e turistico si trovino assetati per interi periodi dell'anno». È quanto afferma, in una nota, Roberto Torchia, presidente del Consorzio di bonifica dello Ionio Crotonese in una "video lettera aperta" inviata alle massime cariche istituzionali dello Stato e della Regione segnalando quello che definisce uno "spreco" di acqua che potrebbe essere meglio gestita mentre invece finisce in mare.

«Dopo anni di emergenze siccità, di innumerevoli interlocuzioni istituzionali supportate da report tecnici puntuali, di racconti di reti vetuste, di sprechi ed allacci abusivi combattuti, e di auto assunzioni di responsabilità - sostiene Torchia - siamo andati oltre. E abbiamo prima scoperto, poi riportato e finanche documentato che più di 200 milioni di metri cubi di acqua all'anno vengono sversati in mare. C'è un dato specifico ed inequivocabile: un privato viene legittimato a produrre energia e profitti con concessioni di uso di acqua pubblica e, al termine dell'uso attraverso salti e delle centraline, può tranquillamente sversare l'acqua a mare mentre, nei periodi di piena emergenza, pretende, dalla stessa Regione Calabria, quei rilasci in più che invece sono indispensabili per comuni ed imprese agricole e turistiche».

«Con le immagini realizzate - sostiene ancora il presidente del Consorzio - tutti potranno essere al corrente di ciò che accade per davvero, per essere edotti e per giudicare se siamo noi pazzi nel considerare tutto ciò aberrante. Ma non basta giudicare, chiediamo che si decida e ci si determini sui principali diritti pubblici dei cittadini che amministrate/amministriamo. È necessario che quei tutti di cui sopra, condividano se una convenzione del 1969 può ancora oggi determinare che principi costituzionali sull'uso dell'acqua pubblica possano essere sovvertiti. È necessario che quei tutti di cui sopra, condividano se debba prevalere l'interesse di un privato a fare reddito piuttosto che l'interesse collettivo di rimanere nella propria terra non più assetata».