Una terra con la scorza dura e l’anima fragile. È la Calabria, un lembo di terra nel Mediterraneo sferzato dalla violenza dell’uomo che giorno dopo giorno, in spregio ad ogni regola del Creato, la ricopre di cemento e abusi. Ma che poi deve fare i conti con la natura che si riprende sempre tutto quello che è suo. Il 2018, per questa regione meravigliosa, è stato l’anno nero del dissesto idrogeologico.

Dal Pollino allo Stretto, palmo dopo palmo, dalla Sibaritide alla piana di Gioia tauro, dalle Serre vibonesi alla Locride, passando per la dorsale appenninica cosentina, catanzarese e reggina, è stato un continuo di emergenze. Con i mari che hanno minacciato e distrutto, spesso e sovente, tratti di costa cementificati fino all’ultimo pertugio; con i fiumi che, stretti in un collo di bottiglia, si sono riappropriati del loro corso dove negli anni la solita ed invadente mano dell’uomo ha portato di tutto; dove montagne e alture, sventrate per far posto a strade, case e ogni altra innaturale costruzione, hanno rovesciato migliaia di metri cubi di terra.

 

Scorza dura e anima fragile. Già, perché così come prepotente e rude è stata la colonizzazione dell’uomo tanto dirompente e senza appello, soprattutto in questo ultimo anno, è stata la giustizia della natura che ha scaraventato su questa terra tutta la sua collera. Scilla, Bagnara, l’alto Tirreno cosentino e così anche lo Jonio crotonese e catanzarese, luoghi incantevoli, messi in ginocchio da eventi atmosferici impetuosi. L’esondazione del lago Angitola e del Mesima, e in ultima battuta quella del fiume Crati che il 28 novembre scorso ha sommerso l’intero abito di Thurio nella Sibaritide. E poi, ancora, le frane di Oriolo, Joppolo e Junchi. Da Nord a sud, da est a ovest, senza distinzione alcuna.

Scorza dura e anima fragile. Come quella di chi avrebbe dovuto vigilare affinché abusi e soprusi in questa terra delicata come un cristallo non avvenissero e non lo ha fatto, utilizzando come unico rimedio di prevenzione al costante dissesto idrogeologico, infiniti messaggi di allerta. Uno al giorno. Sintomatico di una Calabria che ha un’anima fragilissima ed una scorza sempre meno dura.