FOTO | Il fotoreporter calabrese Pasquale Golia racconta un’edizione della Coppa del Mondo che rimarrà nella storia, nel bene e nel male. La prima volta in Medio Oriente e la più costosa con una spesa di circa 220 miliardi di dollari per costruire 8 stadi. Numeri che acuiscono i contrasti di un paese ricchissimo ma costruito sul lavoro degli immigrati (ASCOLTA L'AUDIO)
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Raccontare il Qatar, nonostante oramai sia a Doha da più di una settimana per i Mondiali di calcio più inediti della storia, non è esercizio semplice. Per un motivo preciso: il Qatar nasconde almeno due realtà sovrapposte. Da un lato c’è il Qatar degli emiri e dei qatarioti, circa 300.000 su una popolazione di quasi 2.710.000 persone, e dall’altro c’è il Qatar dei lavoratori stranieri. Forse ci sarebbe anche un altro Qatar, quello dei turisti occidentali ma il turismo qui è ancora in evoluzione e non è una realtà ben delineata. La prima cartolina, forse anche la più famosa nel mondo, di Doha è rappresentata in aeroporto da un gigantesco orsacchiotto in bronzo fuso con la testa in una lampada, rivestito di peluche, il cosiddetto Lamp/Bear, installazione dello svizzero Urs Fischer che gli sceicchi Al Thani, al governo del Paese, hanno acquistato a un’asta di Christie’s per sette milioni di dollari. Un simbolo che rende già l’idea di cosa sia oggi il Qatar, ovvero una straordinaria combinazione tra moderno, lusso, eccezionale e tradizione del mondo arabo. E poi c'è il Qatar del Mondiale di calcio. Come fotoreporter e giornalista sportivo sono qui per questo.
Il primo Mondiale in inverno e il più costoso
Un Mondiale che rimarrà nella storia. Quello in Medio oriente, il primo in 22 edizioni, è anche il primo Mondiale in inverno e sarà anche il più costoso, si parla di una spesa di 220 miliardi di dollari per costruire 8 stadi, una metro funzionale e varie strutture ricettive. Budget giustificato dall’impotenza di tutti gli impianti che ho avuto modo di visitare: c’è lo stadio a forma di una tradizionale sashia (copricapo) araba, Al Tumama Stadium; quello con il rivestimento in oro, Lusail Stadium ma, forse, il più particolare resta quello di Al Bayt: uno stadio a forma di tenda beduina nel cuore del deserto di Al Kohr. Per arrivarci, dal grande centro media internazionale, con il media shuttle, abbiamo attraversato sul serio il deserto del Qatar.
Scese le scale verso il campo, poi, l’emozione sale. Un impianto simile in Europa non l’ho mai visto: struttura imponente si ma visuale ottima da ogni dove, acustica da pelle d’oca. Istallazioni hi-tech tipo arene NBA americane. Per non parlare dell’impianto di aria condizionata all’interno. Insomma, stare a bordocampo poi ti rendi conto di vivere un grande sogno. Di fianco hai colleghi di ogni parte del mondo, a pochi metri invece si ha la possibilità di scorgere sudore, fatica, emozioni sul volto delle migliori stelle del pallone, nel mondo. Alzando lo sguardo, poi, c’è lo spettacolo dei tifosi: colorati, fasciati con la bandiera nazionale, o piuttosto con una parrucca o con un costume bizzarro; è tutto così irreale ma il Mondiale è questo. Un’utopia che per 30 giorni ti fa vivere in un mondo parallelo. In campo e a bordocampo si parlano le lingue del mondo, tra un click di un fotografo o il rumore di un colpo al pallone.
Per questo Mondiale, atteso ben 12 anni, il Qatar si è organizzato davvero bene. Ma questo non è stato di certo il Mondiale dei qatarioti. Pochi i locali negli stadi, pochi i qatarioti incontrati in città con entusiasmo mondiale. Però il Mondiale di Qatar 2022 è stato ugualmente un grande evento con fan provenienti da tutto il mondo (sono stati staccati poco meno di 3.000.000 di biglietti). Un’invasione pacifica, senza eccessive restrizioni come paventato alla vigilia, di piazze in centro a Doha ma soprattutto nel Fifa Fan Fest sullo splendido lungomare, le Corniche, che per 5 km costeggia i Golfo Persico, con alle spalle lo skyline del centro città. Un’ atmosfera elettrizzante in un contesto ber organizzato, ad iniziare dai trasporti e dalle stazioni metro iper-moderne. Per non parlare delle carrozze della metro da prima classe, con tanto di poltrone al posto dei nostri sedili.
Guardare negli occhi i giocatori vale una carriera
Trovarsi per la prima volta in un contesto mondiale, tra grandi campioni del calcio, è qualcosa da ricordare per sempre. Il privilegio di guardare negli occhi i giocatori più forti del mondo vale una carriera nel giornalismo sportivo. Flash back di una grande sfida professionale rimarranno i vari Modric con quel suo sguardo fiero e le giocate a centrocampo da prestigiatore; ma anche le pacche sulle spalle per ogni azione buona da parte di Hakimi ai suoi compagni del Marocco. Ma ciò che conserverò per sempre è la simpatia di Luis Henrique. Seconda mia partita mondiale: la Spagna sfida il Costarica. Sono in prima linea, nel mentre risuona l’inno nazionale costaricense vado davanti la panchina spagnola per fotografare il Ct. Louis Enrique se ne accorge e dice al suo vice “la foto, la foto” e lo fa mettere in posa accanto a lui. I due mi sorridono ed io ho toccato il cielo con un dito.
Un piccolo gesto che mi ha fatto partecipe di una grande famiglia “Mondiale”. Di altri episodi curiosi ricordo anche quello del tecnico dell’Olanda Louis van Gaal e del capitano Van Dijk, assaltati in sala stampa dai colleghi orientali per selfie ricordo. Poi ci sono le grandi stelle: mi ha colpito la tranquillità del Brasile prima dell’inizio gara. La maniacalità nei suoi rituali pre-partita da parte di Ronaldo. La tensione dell’Argentina ed il volto cupo di Lautaro Martinez. Flasch- back di stelle si ma anche di ragazzi che amano lo sport, un po' come noi giornalisti e fotografi, protagonisti inconsapevoli di un evento che è già storia.
Il Qatar da mille e una notte
Per un professionista dell'informazione, partecipare a un Mondiale significa anche immergersi nel contesto socio-culturale del luogo che ospita la Coppa del mondo.
I qatarioti da qualche decennio si misurano oramai tra religione, architettura e design, avventure di lusso nel deserto ed installazioni d’arte. C’è, poi, la passione smodata per la falconeria e il business miliardario per il calcio. Lo sceicco Al Khelafi, proprietario del Paris Saint Germain di Messi, Mbappè e Neymar, è uomo di fiducia del principe regnante del Qatar Al Thani. Una influenza in rapida espansione quella di questa piccola penisola di 11.500 chilometri quadrati bagnata dal Golfo Arabico. In questi giorni di permanenza a Doha, che è la principale città oltre che la capitale del Qatar, di qatarioti se ne vedono pochi in giro, preferiscono restare nel lusso delle loro ville. Qualcuno l’ho incontrato solo al mall of Qatar, uno sfarzoso centro commerciale in cu è stata riprodotta Venezia, con tanto di canali e gondole, intenti con moglie, rigorosamente coperta dall’abaya, e bimbi, a fare acquisti nelle boutique di lusso che qui non mancano. La next-gen, invece, frequenta i locali degli hotel di lusso in città, con tanto di Lamborghini parcheggiata di fianco la struttura.
Secondo l’International trade Union confederetion in Qatar vi sono più di 5mila milionari e 290 cittadini sono ultraricchi con un patrimonio di oltre 30 milioni di dollari. I qatarini che non rientrano in questa categoria, invece, possono contare sul sostegno dello Stato che amministra in loro favore un fondo miliardario. Tradotto in parole povere chi non è milionario occupa posizioni di vertice riceve un lauto stipendio e viene sostenuto dallo Stato. In effetti abbiamo notato sin da subito è che i qatarini occupano solo le posizioni più importanti nel lavoro o nella società pubblica. Alla dogana, infatti, ci siamo imbattuti un una giovane poliziotta locale di frontiera molto simpatica ed aperta al mondo.
Il Qatar degli schiavi del nuovo millennio
Taxi, autobus, trasporti in genere sono affidati a driver stranieri, soprattutto pakistani, indiani, nepalesi ed africani. Così come i lavori di manovalanza in generale a Doha, dagli hotel, sino ai negozi di grande distribuzione. Nei cantieri stradali e per la costruzione di palazzi e opere pubbliche, Doha è un vero è proprio cantiere a cielo aperto, abbiamo notato in prevalenza lavoratori dell’Africa. Questo è il secondo Qatar dove gli stranieri lavorano e vengono lasciati, nel rispetto delle regole dello Stato, liberi di costruirsi una società nella società. Ecco che sono sorti negozi, alloggi separati, che si concentrano fuori la città di Doha, una sorta di città parallela. Di loro te ne accorgi la mattina o la sera, quando con la metro tornano o arrivano da e verso i sobborghi.
Mi è capitato di parlare con un autista indiano di Uber e quanto mi ha raccontato ha dell’incredibile.
Lo straniero che vuole trasferirsi per lavoro in Qatar entra nel sistema della Kafala, cioè il controllo totale sul lavoro dei migranti, passa attraverso società controllate dallo Stato ed un sistema di sponsorizzazioni per raggiungere il Qatar. Il nostro interlocutore ci spiega di aver pagato in India ad un’agenzia che ha contatti in Qatar con questo sistema qualcosa come 850 euro. «Quando sono atterrato a Doha c'erano dei loro addetti – ha spiegato - per prima cosa mi hanno preso il passaporto. Dopo pochi giorni ho iniziato a lavorare». Il suo guadagno medio? 1200 Riyal, qualcosa come 300 euro. Ma, ci ha confidato, gli operai guadagnano anche meno, 800-900 Rial. Chi non ha famiglia vive in palazzoni che sorgono nei piccoli centri urbani alle porte del deserto, che ho intravvisto nel mio viaggio verso lo stadio tenda di Al Khor. In 25 metri quadri, ci ha spiegato il nostro interlocutore, possono vivere anche quattro persone. Di loro te ne accorgi anche nel vecchio Souq Waqif, il mercato vecchio di Doha, intenti, nelle botteghe, a cucire tappeti o stoffe per i vestiti degli emiri.
Una donna guida la rivoluzione artistica
Poi, c’è, come si diceva, il Qatar dei turisti: spiagge dorate, un’isola turistica in mezzo al Golfo Persico, insomma lusso sfrenato per vacanze da sogno. Cenare non costa un granchè, così come i trasporti sono molto economici. Una notte in un hotel di lusso, in periodi non di Coppa del Mondo, può costare al massimo 150 euro.
Contrariamente a quanto si pensi sulle donne in Qatar e sul loro ruolo nella società locale. A trainare il nuovo corso della città di Doha sono le donne illuminate della famiglia al potere. Sheikha Al-Mayassa, sorella dell’emiro, è la direttrice di tutte le iniziative culturali e museali del Qatar. Grazie a lei, l’arte fa capolino ovunque. Il Paese, un tempo tappa dei mercanti sulla via dell’incenso, colonia dei portoghesi che commerciavano le perle, poi dominio dell’Impero ottomano, ha scelto di guardare avanti ben prima dell’assegnazione dei Mondiali di calcio. Così persino nell’antico Souq Waqif Le Pouce di César Baldaccini, un pollice dorato patinato in bronzo, è location ideale per fare selfie da parte delle ragazze qatariote che indossano l’abaya, ma con il volto scoperto.
Al Katara Cultural Village coesistono moschee dai minareti ricoperti da mosaici e tasselli dorati, le Pigeon Towers (torri per i colombi), il caffè dell’emittente televisiva locale Al Jazeera, le Galeries Lafayette, con l’orangerie in vetro e un buffo padiglione a forma di pacco regalo.
Proprio i grattacieli e gli enormi cantieri che vanno verso l’alto sono i panorami principali del centro di Doha. L’impressione è che la città sia in fase di espansione e di crescita. Sensazioni e riflessioni su cui indugio mentre mi appresto a raggiungere lo stadio per immortalare con la mia macchina fotografica i momenti salienti della prossima gara.
* Pasquale Golia è un giornalista e photoreporter internazionale. Ha collaborato con numerose testate, tra cui La Gazzetta dello sport e Il Manifesto. È autore di tre libri: Giornalista di Periferia (2010); Inseguendo un sogno Rosa - la storia di un inviato al Giro d’Italia (2011) e Non Fatevi Rubare la Speranza-Papa Francesco in Calabria (2014). In Qatar, è al suo primo Mondiale di calcio come Press-Photographer accredito Fifa.