«Nell'ultimo anno io sono caduta e oggi sono qui a raccontarvi la mia versione di questa storia. Mi sono sentita sopraffare da situazioni che in 15 anni di carriera non mi ero mai trovata a dover affrontare. E che non ero preparata ad affrontare. Una valanga d'odio mi ha investita da un giorno all'altro».

Alessandra Amoroso spariglia le carte e, in sala stampa a poche ore dal debutto sul palco dell'Ariston con la sua “Fino a qui”, si commuove raccontando gli ultimi anni della sua vita, in cui si è sentita travolta da una valanga di odio “social” che l'ha portata a un esilio volontario fuori dall'Italia per metabolizzare quanto le stava accadendo.

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«Non parlo dei meme su cui ho sempre scherzato per prima, ma parlo degli insulti molto gravi e delle minacce di morte che mi arrivavano quotidianamente - dice la Amoroso, leggendo un testo che la aiuta a tenere a bada l'emozione -. Quella valanga è iniziata qualche giorno prima che affrontassi uno dei momenti più importanti della mia carriera. Ero talmente concentrata su quello che non mi sono resa conto subito di tutto ciò che stava succedendo intorno a me. Dopo il tour a San Siro, l'adrenalina ha cominciato a scendere e parallelamente ho iniziato a percepire davvero quale fosse la gravità della situazione».

L'artista pugliese sceglie dunque di leggere alcuni degli insulti più forti che le sono arrivati. «Mi sono sentita messa all'angolo. Ho portato a termine il tour, ogni sera dovevo salire sul palco e avere la carica per dare il meglio, per chi lavora con me e che mi ha sempre sostenuta. Ma alla fine mi sono concessa finalmente di non stare bene, e di allontanarmi. Sono scappata in Colombia».

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Poi il ritorno, il percorso di psicoterapia e la risalita. «In quel periodo mi hanno contattato Takagi e Ketra», spiega. «Rappresentava esattamente il momento che stavo vivendo». Ora la Amoroso rivela di essere serena, e di aver capito come affrontare la vicenda, senza però mai voler rivelare i motivi scatenanti. «Ho deciso che non conta la caduta, e nemmeno l'atterraggio, ma come ci si rialza – dice -. E soprattutto cosa si decide di imparare da quella caduta. Così è nata la mia “Fino a qui”». E sulla gara, sottolinea: «Al festival vorrei un podio tutto al femminile. Qui sono venuta a raccontare e a raccontarmi, poi se dovessi vincere, perché no? Schifo non mi fa».