La fatica di un’esistenza negata, la passione e il tormento di un amore consumato in un solo intensissimo bacio, ricordi familiari che si rincorrono affannosamente nel solco doloroso di una frattura insanabile tra padre e figlio. Un’incalzante e logorante recriminazione sul filo di una tensione verso un perdono mancato e ormai inafferrabile. Eppure, in fondo a tutto c’è una speranza che non è, però, salvezza. Una storia di odio profondo e di amore potente, di violenza inarrestabile e di coraggiosa speranza è “F-Aida”, l’ultima produzione di Mana Chuma, in scena in prima nazionale al teatro Cilea di Reggio Calabria. L’incasso è stato interamente devoluto a Medici Senza Frontiere per l’emergenza Ucraina.

Violenza, vendetta e odio tra due famiglie rivali di shakespeariana memoria di cui non è possibile dimenticare il suono assordante, il sapore al sangue, gli scontri dilanianti. A sprazzi, ma solo a sprazzi, sembra che non tutto possa non essere perduto. Una speranza che ogni volta nasce e ogni volta si infrange contro il muro di cemento del dolore. La musica eleva lo spirito verso una salvezza che però dovrà accontentarsi di essere solo desiderata e sognata, agognata e mai raggiunta.

Una storia buia con sprazzi di luce

Scritta e diretta da Massimo Barilla e Salvatore Arena, che è anche l’interprete, "F-Aida" è una storia buia in cui la luce entra attraverso le note delle opere liriche che irrompono sulla scena e la attraversano. Ma è una luce che non basta. Non basta a salvare l'uomo sulla scena come nella vita pur se a sprazzi è certamente capace di alleviare il dolore di quelle ferite sempre aperte, di ricucire il cuore sempre a pezzi, di ridurre il vuoto delle voragini dell’anima.

Nella Calabria degli anni Ottanta, ma forse non solo la calabria e non solo degli anni Ottanta, Salvatore Arena, che si conferma interprete di straordinaria potenza emotiva e scenica, è Rocco, innamorato di Alfredo, divenuto Aida in quella metamorfosi grazie alla quale riesce a sopravvivere nello spazio angusto in cui il padre, temendo l’onta di un figlio omosessuale, lo ha segregato. In questa gabbia in cui cresce e muore, Rocco scopre la musica lirica. Essa scandirà quell’ultimo tratto di strada che è anche quello che Rocco condivide con il pubblico, che comparteciperà della irreversibile dipartita.

Nel gioco di lettere, accenti e rimandi, Aida è la principessa etiope che nella storia dell’opera di Verdi ad un tratto è anche lei schiacciata tra l’amore paterno e quello per Radames che il padre le chiede di tradire per assecondare il suo disegno di vendetta. È infatti la vendetta ad animare ogni "F-aida" in ogni tempo e luogo e ad essere al centro della storia che Rocco-Aida, prossimo alla morte, rievoca in questo straziante e commuovente flusso di memorie, rivolgendosi al padre cadavere e al cospetto di una donna-sposa-Madonna.

Non c'è salvezza per alcuno

«Tutto lo spettacolo - spiega Massimo Barilla - è costruito tra alti e bassi, in un incessante alternarsi di sentimenti contrastanti che dal terrigno assurgono al poetico. La vendetta, la morte, l’odio, la violenza sono preponderanti, quindi nella nostra ispirazione l’amore ha uno spazio importante che scardinare questo male e consentire anche solo di intravedere la poesia, la bellezza e la volontà di amare. Una storia che è una tragedia greca in cui non c’è salvezza neanche per chi abbia la volontà di non farsi sopraffare, di non soccombere. La musica, in questo corto circuito positivo tra “F-Aida” e Aida, è stata per noi l’ancora alla quale far aggrappare Rocco in questa sua metamorfosi. Trovando questi vecchi dischi d’opera nel luogo in cui è stato segregato e nascosto al mondo dal padre, la musica diventa il viatico per respirare, per aspirare a qualcosa che lo porti fuori da quella condizione. La funzione dell’opera è, dunque, quella di consentire a Rocco quella trasformazione che si rivelerà, però, solo un tentativo di salvezza», spiega l’autore e regista, Massimo Barilla.

Tante voci e tante presenze, un solo uomo

«F-Aida - racconta Salvatore Arena- è una storia dalle tante voci e dalle tante presenze. Nasce dal fango e, come cantava De Andrè, porta con sé la speranza di qualcosa di buono. Così in questo turbinio di violenze, soprusi e vendette, in tutto questo buio, c’è una luce attraverso la quale Rocco da crisalide diventa farfalla, diventa Aida; c’è una fiammella che tiene accesa la speranza, qualcosa in cui credere per il genere umano perduto, qualcosa alla quale tendere che sia diversa da quella condizione cupa, anche solo idealmente raggiungibile. Una tensione preziosa anche se preludio annunciato di un fallimento.

Una storia violentissima, raccontata attraverso la fragilità. E nonostante ciò quest’opera è un inno alla vita e alla speranza nel segno del sentimento più forte che è l’amore. Abbiamo voluto che a testimoniarlo fosse un uomo ai margini della storia, alla periferia della memoria dell’uomo stesso e che, nonostante ciò, conosce e vive il sentimento più potente e universale», conclude l’autore, regista e attore Salvatore Arena.