VIDEO | Attore in fiction celebri, a teatro e al cinema, ha raggiunto il grande successo doppiando personalità del calibro di Nicolas Cage, John Turturro, Bob Odenkirk. Per Better Call Saul ha vinto il Leggio d’Oro
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Le chiamano voci dall’ombra, perché sentiamo le loro parole, ma i loro volti sono nascosti dal buio delle sale doppiaggio. Senza di loro moltissimi film non li avremmo mai visti: pellicole epocali, serie leggendarie, sono passate tutte dai loro microfoni e dalle loro corde vocali. Pasquale Anselmo è uno dei doppiatori storici. Ha prestato la sua voce a Nicolas Cage, John Turturro e al compianto Philip Seymour Hoffman. Per il suo lavoro straordinario nel doppiaggio di Jimmy McGill, alias Saul Goodman in Better Call Saul, ha ricevuto il prestigioso Leggio D’Oro. Legatissimo alla sua Cosenza, ha ideato e promosso un progetto di videoart che racconta la storia del bombardamento che subì la città dei bruzi durante la Seconda Guerra mondiale: “C’era una volta la guerra a Cosenza”.
«È un audio racconto con animazioni, quindi la prima cosa da dire è che non vedrete le facce degli attori, ma sentirete le voci. È realizzato con ben cinque generazioni di artisti cosentini: dagli 80 ai 19 anni, con le musiche originali del maestro Franco Pisciotta. Le animazioni sono artigianali, a cura del maestro Ciccio Tarsia, il primo scenografo della mia prima compagnia cosentina che si chiamava Scena Aperta».
Tutto è partito da una frase: «Ho visto i cavalli volare», ci racconti.
«Un giorno ho visto sul web l’intervista all’unico sopravvissuto del bombardamento del ‘43 al quartiere Spirito Santo di Cosenza: morirono cinque bambini. Adesso c’è un monumento che ancora li ricorda e questo signore, che ora non c’è più, ripeteva questa frase: “Ho visto i cavalli volare” e questo perché quel giorno, davanti alla scuola elementare, c’era un tendone di un circo che stava facendo le prove di equitazione. La bomba ha ucciso anche i circensi e gli animali, saltati per aria».
Una storia da film.
«Molto. Quella frase la trovai molto evocativa e mi ispirò».
La sua voce ogni giorno entra nelle case di milioni di italiani: Cage, Turturro, Buddy il re delle torte, ma l’elenco è infinito. È quasi uno di famiglia, ma come ha cominciato?
«Dopo aver vinto il concorso all’Accademia di Arte Drammatica Silvio d’Amico di Roma, alla fine degli anni Settanta, ho lavorato in alcuni film. Il primo in assoluto fu quello di Nanni Moretti, “La messa è finita”, in cui faccio una piccolissima parte. La pellicola più importante, però, l'ho girata per Carlo Mazzacurati, che faceva sempre parte della cerchia di Moretti. In seguito ci sono stati Felice Farina, Alessandro D’Alatri, insomma ho fatto un po’ di film, ma soprattutto tante fiction, da Don Matteo a Provaci ancora prof, La Piovra. Posso dire di aver girato il mondo, grazie alla tv. Soprattutto ho conosciuto l’arte della recitazione cinematografica, che è molto diversa dalla recitazione teatrale e dal doppiaggio».
Come le piace definirsi?
«Quando mi presento non dico: io sono un doppiatore, perché è come se uno si presentasse e dicesse: salve, sono un attore di cinema. No, io sono un attore con tante frecce al mio arco. Ho fatto teatro, fiction, il cinema, il doppiaggio, i radiodrammi col mio maestro Andrea Camilleri. Più cose sai fare, più puoi resistere in questo ambiente».
È riconosciuto come la voce di Nicolas Cage.
«In realtà non sono il doppiatore ufficiale di nessuno: quando ho cominciato a prestare la voce all'attore dopo un po’ i direttori hanno cominciato a chiamare sempre me quando c’era lui da doppiare. Facendo questo mestiere ho avuto l’onore di essere provinato da registi fantasmagorici come Martin Scorsese, John Woo, Oliver Stone, ma non esiste la concezione di “voce di”».
Ma come ha capito che poteva essere il lavoro della vita?
«Stavano girando a Reggio “Un ragazzo di Calabria” di Comencini, e una mia amica mi disse che stavano cercando disperatamente un doppiatore con l’accento calabrese. Ho fatto il provino e l’ho vinto. Avevo 32 anni e ho doppiato il mio primo 65enne! Poi, sai come funziona, è un po’ come in Sliding Doors: potevo andare a destra, potevo andare a sinistra, ma ho incontrato il più grande direttore di doppiaggio di tutti i tempi, Mario Maldesi, la voce dei film di Fellini e di Stanley Kubrick, si è innamorato della mia recitazione, e quindi sono rimasto al doppiaggio».
Maldesi era un gigante, che consigli le dava?
«Mi diceva: no ti prego, non andare a fare telenovele e soap opera! E io gli rispondevo: vabbè ho capito, ma l’affitto lo devo pagare. Come si dice? Da cosa nasce cosa e il tempo la governa».
L’ha mai incontrato Nicolas Cage?
«No, però so che lui ha messo bocca nei provini, nel senso che l’hanno chiamato e gli hanno chiesto: chi ti piace tra queste voci per l’Italia? E lui ha sempre scelto me».
Ci racconti un aneddoto accaduto in sala doppiaggio.
«Nel film “World Trade Center”, abbiamo fatto al doppiaggio un lavoro incredibile. Eravamo sepolti sotto le macerie, cioè lo era lui, Cage nel film, e noi abbiamo doppiato distesi a terra, con un sacco di cemento sul diaframma. Per riprodurre la sabbia in bocca, masticavamo zucchero di canna. Insomma noi ci divertiamo come dei pazzi in sala, siamo artigiani della parola».
Ultimamente molti spingono a vedere i film in lingua originale.
«Noi siamo dei traduttori poetici, io mi definisco così, se vuoi vedere il film in originale lo vedi in originale, se lo vuoi vedere doppiato sappi che noi sulle battute ci lavoriamo parola per parola e cerchiamo di rendere il più possibile le emozioni degli attori».
Dicono che mentre nel mondo si guardano i film in lingua originale, in Italia restiamo ancorati al passato.
«Allora, intanto sfatiamo un mito: il doppiaggio non è solo un fenomeno italiano. Si doppia in 180 Paesi, si doppia anche in America, dove Tom Hanks, tanto per dire, è una delle voci più quotate. Poi vogliamo parlare dei sottotitoli? Non è che siano meglio del doppiaggio, spesso e volentieri sono scritti in un italiano allucinante e tradotti malissimo, perché gli addetti a tradurli e a trascriverli vengono pagati una miseria. Certo, usandoli si risparmia sul costo dei doppiatori, tirate voi le conclusioni».
Lei doppia tanti film e tante serie, non è un peccato non riuscire a godersele?
«No, perché io non vedo tutto il film o tutta la serie che doppio. Per le nuove leggi sulla privacy, i doppiatori non possono più guardare l’opera per intero. Spesso e volentieri non sappiamo nemmeno qual è il titolo del film».
E come riuscite a lavorare in questo modo?
«Ci sono alcuni film, e per fortuna ne ho fatti solo 3-4, come la serie del Signore degli anelli, che per motivi legati al rischio pirateria noi doppiamo al buio, letteralmente...»
Al buio?
«Lo schermo è nero, ogni tanto si apre una finestra sulla bocca, io doppio e poi quella si richiude. Ho fatto un film su Superman che ho visto solamente quando è uscito al cinema. In quei casi noi abbiamo il direttore al doppiaggio che sta dietro un vetro, l’unico che ha visto il film, che suggerisce le intonazioni e le indicazioni di movimento dell’attore».
Insomma fate gli acrobati.
«Io dico sempre ai miei allievi, perché insegno da 15 anni di recitazione applicata al doppiaggio e non, che gli attori sono dei professori d’orchestra: prendono lo spartito, guardano il direttore che è il regista, ed eseguono; il doppiatore invece è Uto Ughi, cioè il virtuoso del violino che sta davanti all’orchestra, perché non solo deve saper recitare di suo, ma deve farlo appresso a un altro che l’ha già fatto».