LaC Storie spegne 100 candeline. E la fortuna del programma di LaC tv era già rintracciabile, a ben vedere, nel titolo beneaugurante della prima puntata, "La vecchia signora", dedicata alla locomotiva della Sila. L’analogia tra il treno a vapore di Camigliatello che lentamente ma inesorabilmente, ha macinato migliaia di chilometri, mostra più di una analogia con il programma più longevo di LaC tv, che grazie alla determinazione ed all’instancabile produttività del suo ideatore, autore, realizzatore e curatore, il videoreporter Saverio Caracciolo, "sin prisa pero sin pausa", senza fretta ma inesorabilmente, ha prodotto 3000 ore di trasmissione, e consumato decine di migliaia di ore di “girato”.


LaC storie compie 100 puntate

Lunedì 2 marzo alle 15.30 ed alle 19.00, LaC tv - canale 19 del DDT, emittente edita dalla società editoriale Diemmecom e facente parte del network LaC di proprietà del Gruppo Pubbliemme - trasmetterà dunque la centesima puntata di un format felicissimo, i cui ascolti sono sempre stati in crescita costante (www.lactv.it/category/lac-storie/). Occasione per spegnere le candeline, una puntata dedicata a “Gli ortodossi di Calabria”, viaggio alla conoscenza di una comunità antica e nobilissima, tanto centrale nella spiritualità italiana quanto periferica geograficamente, quella appunto ricompresa tra Monasterace e Serra San Bruno. Il racconto per immagini, le interviste ai padri, la discrezione del reporter, ancora una volta si confermano piena espressione della ricerca tematica, del registro stilistico, della coerenza demoantropologica di Caracciolo, e marchio di fabbrica del professionista che avrebbe firmato il suo primo LaC Storie il 16 giugno 2017, per portarlo avanti sino ad oggi senza soluzione di continuità.


Dallo speciale tg al reportage

«Nel 2016 - racconta Saverio - ogni domenica, all'interno del telegiornale di LaC tv, c'era una mia storia di 3 minuti, un breve focus sulle tradizioni di Calabria. Da lì, l’idea, subito accettata dall’azienda, di dar vita ad un prodotto più corposo. Inizialmente, pensavo ad uno spazio di 5-7 minuti, che diventarono subito 15, e che oggi sono 30- . E ancora-: Dal 2016 ad oggi non ci siamo mai fermati. LaC Storie è andato in onda ininterrottamente per 3 anni, estate ed inverno, feste comprese. E di questo ringrazio il Gruppo Pubbliemme, il network LaC, il mio Editore Domenico Maduli, il Direttore Generala Maria Grazia Falduto, che mi danno spazio, autonomia e che valorizzano il mio lavoro. Ma anche il direttore editoriale Pasquale Motta, che ringrazio per avermi messo in contatto con la figura e le opere del mio maestro, il documentarista calabrese Vittorio De Seta».

 


L'approccio antropologico

«Le mie storie non hanno voci esterne. Sono i protagonisti a raccontare loro stessi, ad accompagnare lo spettatore alla scoperta della realtà nella quale sono immersi. Ogni puntata ha un taglio cinematografico, le immagini sono realizzate con macchina fotografica, drone, GoPro, in autonomia. E sempre in autonomia, inizio e finisco tutto il lavoro, dalla ricerca giornalistica alle riprese, fino alla post produzione. Quando giro, devo stare da solo. Un terzo soggetto altererebbe l’ambiente, dove io cerco di confondermi fino a diventare invisibile. È come nella ricerca antropologica. Non devono esserci filtri tra il soggetto e lo spettatore».


Premio De Seta

«La puntata che mi ha dato più soddisfazione è stata “Zingari e santi medici”, dedicata ai santi centrali nella spiritualità Rom, Cosma e Damiano. Un lavoro che mi ha fatto conquistare la fiducia della loro comunità, e che mi ha portato la menzione d’onore al premio De Seta 2018. Tengo molto anche a La Pita, puntata sulla festa di Alessandria del Carretto, e a Il Brigante, la storia di un pastore nomade e latitante, che ha passato la sua vita tra i monti, e sul quale presto uscirà un docufilm. Ma anche a La terracotta, sui vasai di Gerocarne, a I Carbonai di Serra san Bruno. Tutte puntate a me care».


Un futuro in nazionale

In futuro vorrei lavorare sul nazionale, e spero di farlo con LaC, perché sono molto legato all’azienda, e devo a lei l’esser diventato, da fotografo, videoreporter. La vena documentaristica nasce dopo aver realizzato il mio primo format televisivo, Mastri e Mestieri e da allora, lavoro praticamente 7 giorni su 7. Da studio e da casa. Non si contano le notti che ho passato fuori, dormendo in macchina se necessario, o condividendo tende, roulotte, camerate con i miei protagonisti. Obiettivo riprendere con esattezza e puntualità di una storia, conquistare la fiducia di chi la racconta, farsi accettare dalle comunità: anche le più remote e più diffidenti».