Dodici anni di piano di rientro sono serviti ben poco a garantire ai calabresi normali standard di cura. Dopo oltre due lustri di “occupazione” della sanità, periodicamente oggetto di verifiche da parte dei ministeri della Salute e dell’Economia, un calabrese attende in media quasi mezzora l’arrivo di un mezzo di soccorso e due giorni ricoverato in ospedale prima di sottoporsi ad un intervento chirurgico.

Mani in tasca ai contribuenti

E al netto di servizi inefficienti pagano anche le tasse più alte per effetto del deficit economico ormai fuori controllo. Di anno in anno aumentano l’Irap, imposta regionale attività produttive e l’addizionale Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche) il cui superiore gettito viene utilizzato per coprire, in parte, il debito sanitario. Il piano di rientro in Calabria, infatti, viaggia al contrario; se il suo scopo ab origine era quello di ripianare il debito sanitario, gli effetti sono stati di segno totalmente opposto. L’opera di ben quattro commissari sembra sia servita per ora solo a far esplodere un bubbone tenuto sotto coperta, basti pensare che nel bilancio consuntivo 2015 il disavanzo ammontava a 58 milioni di euro ma tre anni dopo (consuntivo 2018) era schizzato a 213 milioni, coperto in parte solo dal maggior gettito fiscale: 107 milioni di euro.

Fuori regione per farsi curare

Lacrime e sangue di calabresi che pagano salati i pochi servizi offerti, quando non sono costretti ad emigrare per farsi curare altrove. Ad esempio, restano in attesa di una ambulanza in media per 22 minuti, quando il tempo dalla ricezione della chiamata al sopraggiungere del mezzo di soccorso dovrebbe attestarsi massimo in 18 minuti. Termine salvavita rispettato solo dal Lazio e dalla Puglia, sforato da Abruzzo e Sicilia (19 minuti) tra le regioni sottoposte al piano di rientro, addirittura peggio la Basilicata con 26 minuti, la quale però gestisce la sua sanità in regime ordinario.

Carenza di screening

Sono a maggior rischio d'insorgenza di patologie oncologiche dal momento che i programmi screening in Calabria sono perfetti sconosciuti. La quota di residenti che vi hanno partecipato (dovrebbero essere chiamati dalle Asp di appartenenza per sottoporsi a test periodici di controllo) resta tristemente al di sotto della media di adempienza: superiore a 9 punti ma in Calabria resta inchiodata a 2. A titolo d’esempio, le donne chiamate per valutare la presenza di lesioni alla mammella sono solo il 6% della popolazione target nel 2019, dato in netto peggioramento rispetto al 2018 – 7,2% - e al 2017 – 11,6% ma è un trend che accomuna quasi tutte le regioni sottoposte a piano di rientro (Abruzzo e Lazio escluse) oltre la Basilicata e la Lombardia.

Gli effetti sugli anziani

E se si osserva l’assistenza territoriale a pagare le conseguenze peggiori del disastro sanitario sono i più deboli: anziani che non possono usufruire dell’assistenza domiciliare e totale inesistenza di posti semiresidenziali per disabili, ma in compagnia del Lazio (residenziali) e del Molise (semiresidenziale). In Calabria l'assistenza per la popolazione più vecchia non supera la soglia dell'1,16% mentre in Veneto si attesta al 3,9%, 3,6% in Emilia Romagna e 4,1% in Basilicata. I servizi ai disabili non vanno oltre lo 0,06 in termini di posti letto mentre in Emilia Romagna l'offerta segna quota 0,52 e 0,43 in Lombardia. 

Lea insufficienti

Dodici anni e quattro commissari dopo, i livelli essenziali di assistenza continuano a risultare insufficienti: nel 2019 sono pari a 125 punti (160 per raggiungere l’adempienza) ma dal 2010 un piccolo miglioramento c’è stato. Agli esordi del piano di rientro si partiva da 95 punti che solo nel 2018 sono riusciti a superare la soglia (162) per perderne l’anno successivo ben 37 d'un sol colpo. Quasi la metà dell’Emilia Romagna, del Veneto e della Toscana (222) e della Lombardia (215). Fanno meglio persino la Campania (168), la Sicilia (171), il Lazio (203), l’Abruzzo (204) e la Puglia (193) regioni in piano di rientro ma resta sotto soglia il Molise (150), che condivide con la Calabria l’onta del commissariamento governativo.

Deficit impazzito

L'unico indicatore ad essere aumentato vistosamente nel decennio di vigilanza interministeriale è quello economico. Se nel biennio 2016/2017 (rispettivamente a consuntivo 2015/2016) il deficit sembrava addomesticabile - 58 milioni prima e 55 milioni l'anno successivo - e il piano di rientro ancora praticabile, già nel 2018 il barometro inizia a segnare tempesta. Ad agosto 2019 (a consuntivo 2018) il deficit impenna a 213 milioni di euro e il risultato di gestione viene chiuso a 105 milioni di euro ma solo perché a metter mano al portafoglio ci pensano i calabresi coprendo con 107 milioni di euro parte del debito "grazie" all'inasprimento delle tasse. E nel 2020 l'emorragia non accenna a suturarsi, a consuntivo 2019 lo sprofondo rosso avanza a 225 milioni. Il risultato di gestione certifica un disavanzo di 160, il contribuente ancora una volta paga ma con la stessa gratificazione di chi si affanna a svuotare l'oceano con un cucchiaino.