La grande fuga verso il privato o altri Paesi europei, dove si è pagati meglio e minori sono le incognite legate a turni massacranti. Il responsabile regionale del sindacato chiede a Occhiuto un tavolo di confronto: «La situazione è drammatica, cominciamo a discutere dei problemi»
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Mortificati professionalmente ed economicamente, spesso vittime di una violenza frutto di mancanze di cui non hanno colpa, in prima linea, con l’acqua alla gola, a pezzi, stremati, al limite della sopportazione. È una fotografia che è un grido d’allarme quella della situazione degli infermieri negli ospedali pubblici calabresi. A metterla a fuoco è Stefano Sisinni, responsabile regionale del sindacato di categoria Nursing Up. Lo stesso sindacato che, di recente, ha diffuso una nota in cui dava (e chiedeva) conto delle condizioni di lavoro ormai insostenibili degli operatori sanitari della provincia di Cosenza. Ma se Cosenza piange lacrime amare, nelle altre quattro province della regione non si ride di certo.
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Che situazione vivono gli infermieri in Calabria?
«La situazione è drammatica. Quello che più ci lascia basiti è che non c’è un minimo di confronto a livello istituzionale, con Occhiuto non siamo mai riusciti a parlare come organizzazione sindacale».
Avete chiesto degli incontri?
«Chiesto e sollecitato. Il contratto nazionale prevede un’indennità per chi lavora nell’area dell’emergenza-urgenza: si tratta di una quota minima, 40 euro. Da marzo era stata prevista la possibilità di incrementarla demandando la cosa alle Regioni, alle quali sono state destinate delle risorse: per la Calabria 1.153.000 euro. Il 7 marzo scorso ho mandato una pec chiedendo la convocazione di un tavolo per discutere di queste indennità, ma non ho avuto risposta. A maggio ho sollecitato, anche stavolta niente. Bastava chiamare a raccolta i sindacati e vedere come distribuire queste risorse. Dai nostri pronto soccorso stanno scappando tutti, per una volta che c’era un incentivo non è stato neanche preso in considerazione, l’attenzione è nulla. Ho chiesto anche un incontro a Occhiuto per parlare della situazione sanitaria calabrese in generale: era il 3 luglio, ancora sto aspettando una risposta».
Di recente il suo sindacato ha parlato di infermieri che lavorano «per un tozzo di pane». È davvero così grave la situazione dal punto di vista retributivo?
«Si tratta di una situazione nazionale. Gli infermieri già da un decennio stanno scappando dal pubblico e vanno all’estero. Noi in Italia formiano quelli più preparati d’Europa, sono ricercatissimi, così altri Paesi – come Germania, Regno Unito e Svizzera – mettono sul piatto offerte molto più appetibili delle nostre. Il problema è generalizzato: o si mettono più risorse o il sistema salta. Lo abbiamo già visto con la fuga dei medici, con gli infermieri sta succedendo la stessa cosa. Dal pubblico scappano tutti e il privato, dal canto suo, logicamente ne approfitta, offrendo condizioni lavorative ed economiche migliori: gli infermieri vanno lì perché guadagnano di più e rischiano di meno, dato che non lavorano sull’emergenza».
Retribuzione ma non solo. C’è un problema molto serio di carenza…
«Le dico solo questo: noi rispetto alla norma, che prevede 3,7 posti letto ogni mille abitanti, siamo molto al di sotto. E nonostante ciò, nonostante cioè abbiamo meno posti del normale, il personale non basta. Figuriamoci se fossimo a regime… Io lavoro a Tropea, e parliamo della perla del turismo della Calabria. Se lei fa un giro qui si rende conto che è una scatola vuota. E nel comprensorio adesso ci sono migliaia di persone in più perché in questo periodo la popolazione aumenta in modo esponenziale. In estate i pronto soccorso delle località turistiche vanno potenziati. Anche perché il turista prima di prenotare cerca garanzie dal punto di vista sanitario».
Quali sono i rischi concreti che derivano da questa situazione?
«Sono rischi per i pazienti ma anche per gli stessi operatori sanitari. Le aggressioni, fisiche e verbali, ormai sono all’ordine del giorno, soprattutto nei pronto soccorso ma non solo. Noi abbiamo chiesto anche confronti sui piani assunzionali. Giorni fa abbiamo fatto un incontro con l’Ordine delle ostetriche: sono disperate. Lavorano in condizioni pietose e poi magari succede che devono andare in tribunale a rispondere di tragedie, come quella successa di recente a Crotone. L’Ostetricia in Calabria è un dramma, e sappiamo quanto sia importante».
Dove si trovano le situazioni più critiche?
«Negli hub perché è lì che si riversa tutto il bacino. Gli ospedali piccoli fanno assistenza di base, ma appena c’è qualcosa di più serio si finisce nelle grosse strutture, che però non riescono a far fronte a tutto, sono ingolfate, si vedono arrivare carichi di lavoro enormi e il personale non c’è. Ma penso anche ai consultori. Si tratta di presidi fondamentali sul territorio ma sono abbandonati, negli anni ’80 funzionavano benissimo, adesso anche questi non hanno più personale. Siamo in una foresta».
Il personale non c’è, le strutture non sempre sono all’altezza e la gente va a curarsi fuori…
«Con quello che spendiamo in mobilità passiva dovremmo avere delle strutture all’avanguardia. Io da calabrese mi vergogno. È come se noi vivessimo in una baracca e mantenessimo la villa con piscina al nostro vicino. La riforma del Titolo V della Costituzione ha creato un disastro, abbiamo venti sistemi sanitari differenti e le Regioni nella sanità hanno fatto scempi. Si dovrebbe avere il coraggio di dire: “Abbiamo sbagliato, torniamo indietro”».
Quali azioni immediate sarebbero necessarie?
«Non saprei da dove cominciare. Se fossi io il commissario ad acta convocherei subito un tavolo tecnico regionale chiedendo i contributi di tutte le parti in causa, per iniziare a discutere dei problemi. Ma tutte le sollecitazioni fatte finora non hanno avuto risposta. Io di natura sono un ottimista, ma sono molto preoccupato. Non vedo prospettive a breve termine perché non vedo la possibilità di un confronto, non ho la percezione che ci sia interesse a risolvere i problemi o che si sappia dove si sta andando. Noi abbiamo 1000 iscritti in Calabria, non possiamo essere ignorati».