Negli ultimi cinque anni sono stati circa duecento gli infermieri che si sono lasciati alle spalle le corsie ospedaliere calabresi alla ricerca di migliori condizioni economiche e professionali; circa quaranta all'anno diretti principalmente verso altri paesi dell'Unione europea o addirittura all'estero. Il dato, fornito dall'ordine delle professioni infermieristiche di Cosenza, fa il paio con la fuga di camici bianchi - 450 le richieste avanzate nel 2023 - e descrive la misura di un esodo che non risparmia neppure la Calabria.

Le mete più ambite

Le meta preferite dagli infermieri sono il Regno Unito, seguito dalla Svizzera, dalla Germania ed ultimamente anche i Paesi Arabi. «Questi colleghi al momento non hanno alcuna intenzione di tornare in Italia» spiega il presidente dell'Opi Cosenza Fausto Sposato. «Soprattutto coloro che hanno scelto di lavorare nei paesi anglosassoni poiché un rientro significherebbe la perdita di ogni competenza acquisita; esperienza che in Italia non si è ancora in grado di valorizzare».

Polo di attrazione

È, infatti, il Regno Unito a rappresentare il principale polo di attrazione per chi svolge la professione infermieristica. «Ogni anno mediamente quattrocento infermieri lasciano l'Italia per trasferirsi nei paesi anglosassoni. Sono circa 20mila gli infermieri, formati in Italia, che si trovano all'estero» specifica ancora.

L'abbandono della professione

E se si somma il fenomeno dell'emigrazione a quello dell'abbandono della professione (in Italia il 36% degli infermieri dichiara di voler lasciare il luogo di lavoro entro 12 mesi; di questi il 33% dichiara di voler lasciare la professione) «è subito chiaro come lavorare sull'attrattività della professione non sia più una questione rimandabile».

La formazione pagata in Italia

Il presidente dell'Opi snocciola poi i costi sostenuti per la formazione di infermieri e medici che non sempre però decidono di mettere le competenze acquisite a servizio della sanità italiana. «Un infermiere costa circa 22.500 euro per cinque anni (13.500 sul triennio: circa 4.500 euro/anno). Quella di un medico 41.000 euro per sei anni di laurea a cui si aggiungono i costi per la specializzazione per arrivare a circa 150-160.000 euro pro-capite».

A servizio di altri Paesi

«Tutto ciò si è tradotto negli ultimi anni in circa 3,5-3,6 miliardi “investiti” nella formazione di medici e infermieri che sono ormai patrimonio di altre nazioni». Le mete più ambite dagli infermieri in rapporto al maggior numero di presenze è il Regno Unito (da un minimo di 3.100 circa l’anno nel post pandemia a un massimo di 4.700 nel 2015, considerando solo gli ultimi anni), seguito dalla Svizzera (sempre intorno ai 1.100-1.200 l’anno) e, secondo altre stime, dalla Germania (intorno ai 1.000 l’anno).

Dato sottostimato

«Il dato generale potrebbe essere comunque sottostimato - aggiunge ancora - perché, come nel caso della Germania, non tutti i Paesi rispondono necessariamente alla domanda di dati dell’OCSE, anche se nella rilevazione disponibile sono comunque presenti i paesi principali dove è verosimile l’emigrazione».

In Italia, tra le più basse retribuzioni

Ma si tratta di un trend destinato ad aggravarsi. «Agli oltre 60mila che già mancano, si aggiungeranno i circa 100mila che si avviano al pensionamento nei prossimi dieci anni». Si tratta in fondo di un esodo generato dalla disparità di trattamento retributivo, in Italia tra i più bassi: «Gli stipendi degli infermieri in Italia hanno differenze retributive, a parità di potere d’acquisto, con quelli annuali in Germania, Svizzera e Regno Unito rispettivamente del 56%, 46,2% e 20% in meno».

L'appeal evaporato

«Neppure l’ultimo contratto, chiuso nel 2021, ha migliorato di molto una situazione già difficile anche a causa della limitata possibilità di sbocchi» specifica Sposato. «Per questi motivi e per la difficoltà di fare carriera nei vari e dispersivi sistemi regionali la professione infermieristica ha perso attrattività».

Verso la soglia della povertà

Una professione che per il presidente dell'Opi di Cosenza è divenuta borderline e che pone gli infermieri ai limiti della soglia di povertà. «Nella nostra regione la professione infermieristica non è affatto valorizzata, tranne in casi sporadici. Una circostanza che aggrava le differenze con le regioni virtuose che, invece, investono su questi professionisti».

Migrazione di rientro

Necessario, invece, cogliere l'opportunità di un trend opposto che sta conducendo al rientro molti infermieri dalle regioni del nord Italia e del nord Europa a causa dell'elevato costo della vita. «Cogliere questo fenomeno e trarne vantaggio potrebbe essere una soluzione per la carenza dei professionisti infermieri. Il regionalismo differenziato - conclude - aumenterà le differenze e si arriverà a ragionare a comparto stagno con regioni che pagheranno ed incentiveranno i professionisti per attrarli verso il loro sistema sanitario e chi avrà maggiori risorse ne trarrà beneficio. Pertanto non è più procrastinabile un sistema che metta al centro gli infermieri, custodi dei bisogni dei cittadini e risolutori di un sistema che altrimenti crollerebbe».