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Autonomia differenziata, la sanità nel Paese spaccato in due: fuga dalla Calabria per curarsi dai tumori, i numeri di un dramma

Costretto a emigrare verso regioni non confinanti il 43% dei pazienti oncologici. Storie e destini a confronto con l’aspettativa di vita che dipende dalla latitudine. Ed è più alta per chi vive al Nord

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di Pablo Petrasso
3 agosto 2024
06:15

Le regioni più ricche potranno garantire più facilmente l’adempimento dei Lea, mentre quelle meno dotate economicamente, segnatamente quelle del Sud, avranno sempre più difficoltà a garantire una assistenza sanitaria decente ai propri concittadini.

Come se non bastasse, la possibilità delle Regioni di bypassare la contrattazione nazionale consentirà loro di offrire stipendi maggiori con il risultato di una ulteriore migrazione Sud – Nord di personale sanitario.


I rischi dell’Autonomia differenziata sulla sanità e le paure del Sud si fondano su queste due considerazioni. E su qualche numero che mostra un Paese spaccato a metà. Le sensazioni dei pazienti vengono tradotte nel monitoraggio dei Livelli essenziali di assistenza che fa emergere i deludenti risultati del Sud. Soprattutto nell’ambito della prevenzione oncologica: «Il ritardo – riassume Svimez in una relazione realizzata per valutare il recente decreto sullo smaltimento delle liste d’attesa – è particolarmente evidente nei tassi di adesione ai programmi di screening, che riflettono anche le carenze di offerta dei Ssr meridionali».

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Si spiega (anche) così «la “fuga” dal Sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie del Centro e del Nord, soprattutto per le patologie più gravi».

Nel 2022 il saldo netto del Mezzogiorno è di oltre 11mila pazienti oncologici. Ed è la Calabria, per le patologie oncologiche, a registrare l’incidenza più elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di Regioni non confinanti. Seguono Basilicata (25%) e Sicilia (16,5%).

È solo una delle tante questioni aperte su un tema, quello della sanità, capace di illustrare il divario di cittadinanza nel Paese. Svimez lo ha fatto in un breve video che accompagna la relazione “Un Paese, due cure” e mostra quanto la latitudine possa cambiare condizioni, speranze e destini.

Sofia e Maria sono due donne di 60 anni: la prima vive a Bologna, la seconda a Reggio Calabria. Sono entrambe impiegate ma il loro futuro rischia di essere molto diverso. Nel destino delle due donne c’è una sliding door: non è una scelta che dipende da loro. È questione di contesto, di diritti negati dalla latitudine. «Sofia – racconta la voce narrante – da quando ha compiuto 50 anni si è sottoposta periodicamente ai controlli al seno previsti dall'Azienda sanitaria locale per verificare la presenza di eventuali tumori. Sofia ha scoperto a 55 anni di avere un principio di tumore e ha cominciato subito le cure previste dal sistema sanitario pubblico dell'Emilia Romagna».

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Centinaia di chilometri più a Sud, «Maria ha iniziato a sentirsi male, stanca, e con poche forze quando ha compiuto 60 anni e dopo aver fatto i controlli le è stato diagnosticato un tumore in fase avanzata».

Per Sofia, da quando ha scoperto di avere un problema al seno, non è stato difficile frequentare l'azienda ospedaliera locale che dista pochi metri da casa sua. Maria invece deve essere operata e ha deciso di andare a sottoporsi a un intervento chirurgico in una regione del Nord.

È il classico dramma delle pazienti oncologiche calabresi: il 44% si è recato in un’altra regione per operazioni su tumori al seno.

Il Paese è già spaccato in due: i due sistemi sanitari dell'Emilia Romagna e della Calabria sono differenti e godono di investimenti molto diversi da parte dello Stato in tutte le sue ramificazioni. «Sofia – ci racconta il video – non ha avuto contraccolpi né di salute né economici. Maria ha dovuto affrontare un lungo viaggio e ha dovuto far fronte a spese per lei e i familiari che le hanno dato assistenza». Le due donne avranno un'aspettativa di vita diversa per il semplice fatto di essere nate in due regioni diverse «all'interno di un sistema sanitario nazionale pubblico che oggi comunque eroga sempre meno prestazioni da nord a sud dopo i tagli costanti alla spesa».

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Scorrono le slide: l’incidenza della spesa sanitaria corrente sul Pil scenderà dal 6,6% del 2023 al 6,1% del 2026. Un taglio che investirà tutto il Paese ma si sentirà di più al Sud.

Il Mezzogiorno, secondo gli indicatori Bes (Benessere Equo e Sostenibile) sulla salute, è l’area del Paese caratterizzata dalle peggiori condizioni di salute. Gli indicatori relativi alla speranza di vita mostrano un differenziale territoriale marcato e crescente negli anni: nel 2022, la speranza di vita alla nascita per i cittadini meridionali era di 81,7 anni, 1,3 anni in meno del Centro e del Nord-Ovest, 1,5 rispetto al Nord-Est. Il divario Nord-Sud si osserva anche per la mortalità evitabile causata da deficit nell’assistenza sanitaria e nell'offerta di servizi di prevenzione. Sono le storie di Sofia e Maria tradotte in numeri: stessa nazionalità e destini diversi. Il futuro deciso dalla latitudine in un Paese già spaccato a metà.

 

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