«Commissario, attenzione, qui rischiamo davvero di chiudere». I dirigenti medici dell’ospedale Jazzolino, dopo lustri di attese e promesse, stanchi di fungere da parafulmine per una politica distratta ed una fredda burocrazia, fanno sentire la loro voce. Il commissario Giuseppe Giuliano, affiancato dal direttore sanitario aziendale Matteo Galletta e dal direttore sanitario di presidio Michelangelo Miceli, ascolta, non si stringe nelle spalle ma ribadisce il suo impegno.

Al termine di un confronto vivace, acceso, ma costruttivo, il manager si dice determinato a portare a termine la sua esperienza «dignitosamente»: sono disponibili i fondi necessari per ristrutturare il vecchio nosocomio, dentro e fuori, e per dotarlo delle strumentazioni utili per consentire al personale di rispondere alla domanda di salute che viene dal territorio. Il Pnrr, in pratica, offre un’opportunità che l’Asp di Vibo Valentia non può e non deve sprecare.

I guai dello Jazzolino, d’altronde, non si risolvono solo con una pur robusta operazione di maquillage strutturale e di implementazione strumentale. Lo sa bene il commissario e lo sanno bene, soprattutto, i medici. A che serve un ospedale ammodernato, negli ambienti e nell’attrezzature, se poi non c’è chi può prendersi cura dei pazienti? Già, perché il primo problema è, e rimane, l’atavica carenza di personale. Ad esempio, mancano i radiologi. Le prestazioni vengono supportate, oggi, dai medici che operano grazie ad una convenzione con l’Annunziata di Cosenza. Che attendono ancora di essere pagati. «E se non vengono pagati, a luglio non verranno. E se non verranno, si chiude…». Saranno pagati, assicura Giuliano. È una pezza, una soluzione tampone, ma almeno si potrà andare avanti, in attesa di provvedimenti risolutivi, nella consapevolezza che non si potrà rinviare ulteriormente e trasformare un’emergenza nell’emergenza nella normalità.

Così come una soluzione tampone sarà l’approdo di due anestesisti da altre aziende sanitarie calabresi. Arriveranno il 16 giugno, assicura il management. Consapevole, anche in questo caso, che si appone un cerotto laddove serve un’ampia e tenace sutura, per non rischiare di dover aprire le sale operatorie solo per gli interventi di estrema urgenza.

Ma la più eloquente metafora di una situazione drammatica – ben più grande dei poteri delegati al Commissario, in una sanità peraltro alle prese con un deficit monstre e un Piano di rientro da portare avanti – è quella che vive il Pronto soccorso. Già si registrava la carenza di dieci medici in organico. Ora due dei camici bianchi nell’avamposto dell’Jazzolino andranno via, in altre aziende. E così la scopertura sale a ben dodici unità. Che fare? E qui il management dovrà ingegnarsi. Come dire, la buona volontà non basta per adottare soluzioni definitive, senza il supporto concreto del governatore Roberto Occhiuto, nella sua veste di commissario ad acta, e della deputazione politica, regionale e nazionale.

E questa è, di fatto, solo la punta dell’iceberg. Sotto l’acqua, turni massacranti, soprattutto per alcuni medici, una perdurante insicurezza, dimostrata dalle continue aggressioni che non hanno risparmiato neppure le donne medico, la carenza di privacy, per il personale ma soprattutto per i pazienti. Una condizione che i camici bianchi non intendono più affrontare in solitudine, potendo contare solo sulle proprie forze.