Rosa ha 13 anni, capelli e viso d'angelo, da cui spiccano due occhi azzurri come il mare. È testarda Rosa, è spigliata, le piace andare a cavallo e giocare con le sue sorelline. A guardarla sembrerebbe un'adolescente come tanti, ma nonostante i suoi pochi anni ha già vissuto due vite e quando ha cominciato a vivere per la seconda volta di anni ne aveva soltanto tre. Rosa è un'ex paziente oncologica. I medici l'hanno salvata quando il suo corpicino era già arrivato al limite e l'hanno ripotata sulla terra grazie a una cura sperimentale a un trapianto di midollo quando oramai si erano perse le speranze. Oggi che è la giornata mondiale contro il cancro, la sua mamma vuole raccontare la sua storia straordinaria. «Voglio dare speranza a tanti genitori - dice - che in questo momento vivono lo stesso dramma che abbiamo vissuto noi. A tutti gli altri dico: donate il sangue, il midollo. A voi non costa nulla, a qualcuno può salvare la vita, come è successo a mia figlia».

L'inizio del calvario

È il 2011. Rosa ha due anni, è una bimba paffutella e vivace, vive con mamma Debora e papà Giacomo ad Aieta, un piccolo paesino ai piedi del Parco del Pollino. Un giorno le viene la febbre. Non è un'influenza e ci sono tante altre piccole avvisaglie che mettono in allarme i genitori. Rosa fa la spola da uno studio medico all'altro, ma nessuno capisce cos'ha, fino a che un giorno finisce nell'ambulatorio di Riccardo De Lorenzo, pediatra di lungo corso. Lui, a differenza degli altri, ordina un prelievo di sangue. Quando arrivano gli esiti, le cose si complicano. Il medico, con tutta probabilità, ha già capito di cosa si tratta. La piccola viene subito trasportata con un'ambulanza all'ospedale di Cosenza. «Sono sprofondata - ha detto la donna -, quando sono arrivata nel reparto ho visto tutti i bambini con la mascherina, ho avuto la sensazione di un "groviglio cerebrale", nella testa solo confusione». E il peggio deve ancora arrivare. Il primario li convoca in una stanza: «Lui parlava ma io sentivo solo un fischio nelle orecchie, non capivo niente di quello che diceva. Giacomo mi stringeva le mani, mi diceva "non ti preoccupare". Ma io non mi stavo preoccupando, non capivo niente». A un certo punto, però, il medico pronuncia una parola. «Ho sentito solo "cancro"». Per la precisione leucemia linfoblastica acuta, con traslocazione dei cromosomi 9 e 22. Rosa, per intenderci, ha una forma aggressiva quanto rara di leucemia ed è già in stato avanzato. È l'11 aprile del 2011.

La forza di Rosa

I medici ricorrono a una cura sperimentale, Rosa finisce in chemioterapia. «Era come se avesse delle mine nel suo corpo», ricorda la madre. Ma la piccola non vuole andarsene e si aggrappa alla vita con tutte le forze. Per non torturarla ad ogni prelievo, i medici le impiantano un cateterino venoso centrale e lei collabora con rassegnazione. Nessun capriccio, Rosa vuole tornare a giocare nella piazza del suo paese. Lei e sua madre rimangano tre mesi di fila in ospedale, il papà lavora e le raggiunge appena può, macinando centinaia di chilometri al giorno pur di vedere la figlia per qualche minuto  dietro a un vetro di una finestra. Debora rimane sola con il suo dolore, vorrebbe crollare ma non può, è lo scoglio al quale Rosa si aggrappa nel mare in tempesta. Da un lato cerca di farsi forza e rimanere ottimista, dall'altro scorrono davanti ai suoi occhi delle scene drammatiche. In quel reparto arrivano genitori disperati con figli che hanno una recidiva della malattia o, peggio ancora, qualche bambino non ce la fa. Se esiste l'inferno, somiglia certamente a un reparto di oncoematologia pediatrica.

L'inizio di un nuovo incubo

Rosa stringe i denti e combatte con la forza di un leone: la malattia dopo quasi un anno regredisce. Ma la gioia dura poco. Le analisi del sangue evidenziano ancora la presenza del cromosoma Philadelphia, espressione di un bilanciamento anomalo tra altri cromosomi. Quando Rosa pensa di essere fuori dal tunnel, entra in uno più lungo e più buio. La sua unica speranza è il trapianto del midollo, ma bisogna trovare un donatore compatibile. L'incubo, di lì a poco, si materializza. I genitori sono compatibili in percentuali che non garantiscono alcuna riuscita dell'intervento. Debora ha un crollo. Il pensiero che sua figlia debba ricominciare la chemioterapia le toglie le ultime forze rimaste. Ma non c'è altra scelta.

La telefonata che cambierà il destino

A casa di Rosa i giorni sono diventati tutti uguali, ma Debora e Giacomo indossano una maschera e continuano a sorridere, anche se dentro si sentono morire: «Abbiamo capito che sorridere è la migliore medicina, anche in mezzo ai guai». Ed evidentemente funziona, perché il 14 febbraio ricevono una telefonata che cambierà il corso delle cose, anche se loro ancora non lo sanno. Dall'altra parte della cornetta, il medico li convoca d'urgenza. «Abbiamo preso il primo pullman - ricorda Debora -, siamo arrivati in ospedale, io mi sono sentita stritolare, avevo la sensazione che il tetto venisse giù». Ma la paura si trasforma ben presto in felicità: «Abbiamo trovato un donatore». Fila tutto liscio, come l'olio. Rosa torna alla sua vita, il cancro non c'è più. Ad aprile 2017, cinque anni dopo, Rosa viene dichiarata guarita. Il mostro non può più farle del male.

La rinascita

«Appena compirà 18 anni - assicura la madre-  per prima cosa incontrerà e abbraccerà il suo donatore, di cui al momento non conosciamo l'identità. Vogliamo guardarlo in faccia, vogliamo dirgli grazie». Oggi Rosa continua a sorridere, come faceva da piccola, e sa di avere di fronte a sé un futuro roseo, pieno di sogni e ambizioni. Sua madre racconta la sua storia e ha la voce che trema dall'emozione «Quello che voglio dire ai genitori che stanno affrontando il nostro stesso dramma - conclude - è che non bisogna mai perdere speranza e fiducia. Bisogna avere fede e credere nella scienza e nei medici. Loro sono la nostra salvezza, Dio opera attraverso loro. Mentre a tutti gli altri dico: donate, donate, donate. Il vostro atto di generosità potrebbe salvare delle vite». Il cancro si può sconfiggere.